Lonate Pozzolo, «Mio marito morto di Coronavirus, nessuno mi ha avvisata»

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LONATE POZZOLO – «Mio marito è morto alle 17.06 del primo aprile all’ospedale di Busto Arsizio dove era stato ricoverato prima nel reparto Covid 1. Poi in terapia intensiva». Il decesso di quello che, dopo 42 anni e mezzo di matrimonio può tranquillamente essere definito il compagno di tutta la vita, è stato comunicato alla moglie il 4 aprile. «Per 3 giorni e mezzo nessuno mi ha detto niente. Si sono dimenticati di dirmi che mio marito era morto».

Non deve capitare ad altri

La vicenda è dolorosissima e mette i brividi. Chi la racconta è la moglie del 69enne lonatese ucciso dal Coronavirus che, comprensibilmente, vuole mantenere l’anonimato. «La racconto questa vicenda perché sia un monito – spiega la donna – Perché una cosa del genere non debba accadere ad altre famiglie. Io capisco i medici e gli infermieri: stanno fronteggiando una situazione enorme e drammatica con coraggio e fatica. Li rispetto. Capisco perfettamente che il medico sia veloce nel darti le informazioni sul paziente in cura perché ha tantissimo da fare. Ma non deve essere per forza un medico in prima linea a comunicare un decesso. Possibile che in tutta la struttura ospedaliera non ci fosse un funzionario, uno psicologo, un essere umano capace di dirmi il primo aprile che mio marito non c’era più? Che l’uomo con il quale ero da più di 42 anni una cosa sola se n’era andato? E di dirmelo con delle parole capaci di non farmi precipitare nella più completa disperazione?».

Sul punto, tra l’altro, è intervenuto anche il sindaco di Lonate Nadia Rosa con un post non polemico ma assolutamente severo.

Un calvario doloroso

La donna racconta il lungo calvario senza livore nei confronti dei sanitari. Mostra una comprensione ben al di là del pensabile per chi ha subito una sorte simile. «Io e mio marito abbiamo iniziato a stare male ad inizio marzo – spiega – Io per due giorni ho avuto febbre arrivata al massimo a 37.8. Poi mi è passata: ho avuto qualche strascico ma sono stata bene. Mio marito no. La febbre diventava sempre più alta e lui stava male. Il medico di base ci ha detto che non poteva venire a visitarlo e di prendere la Tachipirina. Di usare il paracetamolo. Ma mio marito non migliorava. Allora ha prescritto anche un antibiotico. La situazione non è cambiata».

L’iter sanitario

Marito e moglie tentano di contattare il 1500, il numero messo a disposizione dal ministero: «Senza riuscire ad ottenere risposta – racconta la donna – Abbiamo chiamato la guardia medica che ha fatto un’intervista conoscitiva al mio compagno stabilendo che si trattava di influenza. Stessa risposta abbiamo ottenuto dal 112». A sbloccare la situazione è stata una bimba di 11 anni. La nipotina della coppia che vive con i genitori in Inghilterra. «Con una videochiamata lei e mio figlio ci hanno imposto di agire immediatamente. Di rivolgerci subito direttamente a uno struttura ospedaliera. Anche il nostro medico a quel punto ci ha detto di richiedere l’ambulanza». Sino a quel momento la coppia ha responsabilmente, e aggiungiamo con un’educazione straordinaria, seguito tutta la trafila che il protocollo impone. Medico di base, guardia medica, 1500, 112.

Il ricovero in ospedale

«Ho chiamato in ospedale a Busto e ho chiesto se potevo portare mio marito lì perché la situazione si stava aggravando. Mi hanno detto di sì. Era il 17 marzo. Lui si è alzato, si è lavato, cambiato e preparato. La macchina l’abbiamo lasciata fuori dall’ospedale: lì ci è entrato con le sue gambe». L’iter è doloroso: tampone, poi lastra. Il referto impietoso: polmonite bilaterale. «Ma mio marito stava però abbastanza bene. Come è detto in ospedale ci è andato con le sue gambe – spiega la donna – Quella è stata l’ultima volta che l’ho visto fisicamente. Il 24 marzo è stato spostato in terapia intensiva».

Mi ha detto «Preparati. Ti amo»

Viene usato prima il C-Pap, poi arriva l’intubazione. «Dall’ospedale mi scriveva. Mi scriveva che stava peggiorando. Mi ha mandato dei messaggi che non posso raccontare tanto è il dolore. Sino all’ultimo: mi ha scritto di prepararmi. Mi ha detto che mi amava e che stava per andarsene. Alle 11 del primo aprile ho avuto l’ultima telefonata con i medici sulle sue condizioni. Poi più niente. Sino al 4 aprile quando mi hanno detto che tre giorni e mezzo prima mio marito era morto alle 17.06. Le pompe funebri mi hanno detto che è persino andata bene: perché da decreto se la salma non viene reclamata entro 48 ore la struttura ospedaliera la destina dove vuole per la sepoltura. Non sapevo che mio marito fosse morto, perché anche se lo immagini hai sempre quella piccola luce di speranza di non aver perso qualcuno che amavi, e ho rischiato di doverne cercare i resti».

Nessun tampone

La donna chiude con una nota amara: «Io ho finito la quarantena. Ats me lo ha notificato. Da una settimana potrei uscire di casa ma non lo faccio. Perché non mi è mai stato fatto il tampone: io non so se ho avuto il Coronavirus. Non so se nel caso sono guarita. Non so se posso ancora essere contagiosa».

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