Populismo, dire le cose giuste senza risolverle

mifranti longhin europa

di Giuseppe Longhin 
(consigliere comunale della Lega a Cavaria con Premezzo)

Nell’immaginario collettivo chi fa politica dovrebbe farlo per mettere a disposizione la sua cultura e il suo tempo per risolvere e migliorare la situazione della collettività che è chiamato ad amministrare, preferibilmente senza compenso. Questo perché nella generalità dei pensieri, chi “fa politica” lo fa esclusivamente nel suo interesse personale. La critica non consiste più nel contestare le scelte politiche o le posizioni assunte da chi si impegna in prima persona, bensì le finalità della sua azione politica, che l’opinione pubblica associa spesso all’interesse economico e alla conquista del potere. Così, se da una parte si loda il proprio dentista che sconta il 20% “senza fattura” o il proprio commercialista che “ha trovato una scappatoia per far pagare meno IMU”, dall’altra si critica chi si dedica alla cosa pubblica perché “lo fa per interesse” dando per scontato la disonestà e non considerando il politico come un mestiere oltre che, la cosa pubblica, siamo tutti noi. Il medico privato che dopo una visita di cinque minuti cinque chiede col sorriso “150 euro con fattura altrimenti 130” non è un evasore ma un medico, non si giudica l’esagerato costo della visita o la disonestà ma il fatto che, in fondo, ti ha guarito. Questo dovrebbe essere il concetto riportato alla politica: un amministratore che sa fare il proprio mestiere è giusto che venga retribuito e giudicato per il risultato non per come lo ha ottenuto, ovviamente nel rispetto della legalità  Ma l’italianità ci porta a raccomandare nostro figlio, anche se cretino, ci dà il diritto di considerarci meglio del politico che nello svolgimento della sua opera viene parificato all’allenatore della nazionale di calcio: sbaglia sempre anche se vince 3 a 0. In sostanza: il medico deve essere bravo, il politico deve essere onesto. Non a caso il “riavvicinamento” alla politica con percentuali di voto alte quasi quanto 30 anni fa è dovuto alla politica liquida, al personaggio politico che ispira fiducia. Poco importa se vendeva bibite allo stadio o se non ha mai lavorato in vita sua. “Dice cose giuste”. Dice, non le risolve, le comunica. Il fantomatico populismo sta riavvicinando la gente alla politica, non alla politica del fare sia chiaro, ma alla politica della promessa ad ogni costo. D’altro canto, credere al medico anche se si è malati terminali ci fa bene, ci dà speranza. Si deve tornare ad una politica del fare? Certamente si. Come? Recuperando il senso di appartenenza ad una comunità e ad un luogo, partecipare attivamente, capire le priorità. Riscoprire il “noi” perché se è vero che come disse Don Milani: “il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia” Non è il libro dei sogni e nemmeno il buonismo a tutti i costi. Anzi, al contrario, è egoismo: egoismo di squadra. Più forte, efficace e vincente dell’egoismo espresso dall’uomo solo al comando.

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