Peter Sagan, un numero d’alta scuola per la “prima” al Giro

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Il successo al Giro d’Italia è finalmente arrivato per Peter Sagan. Una vittoria rincorsa fin dal secondo giorno con solo podi: in volata è sempre stato costretto a rincorrere il francese Demare, imbattibile. Per il campione slovacco la vittoria è giunta forse nel modo più bello, un arrivo in solitario, al termine di una fuga che con intemperie e saliscendi non hanno lasciato mai un attimo di respiro.

«È sempre bello vincere, ma farlo in questo modo è ancora più bello – racconta lo slovacco – era da tanto tempo che non vincevo e un po’ mi mancava sollevare le braccia al cielo. Già al scorso Tour de France intorno a me si erano create aspettative che io non riuscivo mai a soddisfare, solo tanti piazzamenti, forse troppi, mancava il successo e sinceramente non mi aspettavo nemmeno che la mia prima vittoria al Giro arrivasse in questo modo, con il mio stile, dando spettacolo» racconta lo slovacco della Bora Hangrohe che ha messo fine al digiuno di vittorie più lungo della sua strepitosa carriera. Non alzava le braccia al cielo da un anno, tre mesi e tre giorni.

Giornata difficile per il tre volte campione del mondo che è riuscito a prendere il largo, con i suoi compagni di fuga, soltanto dopo 50 km pancia a terra: «Fin dalle prime pedalate è stato tutto pazzesco, avevamo un ritmo incredibile e la fuga non riusciva nemmeno a partire. Sinceramente non ho molto capito la tattica che la Groupama FDJ di Demare ha applicato contro di me: tutte le volte che provavo a scattare chiudevano, ma alla fine nella frazione odierna non c’erano così tanti punti per la ciclamino che potessero impensierire Arnaud, sono molti quelli che devo ancora recuperare».

E ancora: «Sono stato tutto il giorno in fuga. Ero con due corridori della Movistar e due della Ineos, seppur fossi da solo grazie ad una buona gamba ho potuto controllare tutto e fare un numero in salita. Rimasto da solo, nell’ultima discesa non ho rischiato troppo, ho recuperao per poter dare tutti negli ultimi 7 km, in cui sapevo avrei avuto il gruppo dei migliori a inseguirmi a tutta. Sono riuscito ad arrivare per un pelo al traguardo prima di tutti gli altri, era ora» racconta sorridente.

«Non alzavo le braccia al cielo dal Tour de France dell’anno scorso, è stata lunga. Dopo tanti secondi e terzi posti, prima o poi la vittoria arriva, a volte ci vuole solo un po’ di pazienza. Quando non te la aspetti, non la vuoi più, alla fine arriva. Se ci credi, le cose girano per il verso giusto».

I conti con la pandemia

La vittoria di Sagan non è però l’unica notizia del giorno:  il campione slovacco deve condividere la scena con la pandemia, il terribile coronavirus che ha colpito la corsa rosa, una situazione che non può certo passare inosservata al tre volte campione del mondo.

«Questo è il mio primo Giro d’italia, sto passando dei giorni bellissimi, ma sinceramente preferisco il vecchio ciclismo, quello in cui potevo avvicinarmi ai miei tifosi, abbracciarli, scattare un selfie con loro – spiega Sagan un po’ malinconico -: oggi ad attendermi sul traguardo c’era veramente tantissima gente che urlava il mio nome e mi incitava applaudendomi, è davvero brutto pensare che non posso avere nessun contatto con loro. Prima ogni giorno qualcuno si avvicinava a me per chiedermi una foto, un autografo sul mio libro o su una maglia, purtroppo oggi questo non si può più fare, mi piange veramente il cuore tutte le volte in cui devo rispondere di no a queste richieste».

Quello che Sagan si sente di inviare è però più che una semplice constatazione della situazione, ma un vero e proprio messaggio al mondo del ciclismo, ma non solo.

«La situazione è complicata, bisogna ammetterlo – prosegue il fuoriclasse slovacco – e siamo già fortunati se oggi siamo qui a correre. Molte gare, come al Nord, sono state già annullate, per il momento a noi sta andando meglio. Ora l’unica cosa che possiamo fare è mettere in campo tutte le misure per proteggerci, sia noi come squadra che l’organizzazione che sta facendo dei veri e propri salti mortali per garantirci la sicurezza, ma questo virus è terribile. Possiamo metterci la mascherine e lavarci le mani ogni momento, ma lui è comunque più forte. Quello che mi sento dire in questo momento è che ben presto passerà, bisogna solo crederci. In questo momento sono qui io a parlare, ma in realtà non siamo solo noi ciclisti ad essere coinvolti, anzi tutt’altro. Ci sono i giornalisti, i fotografi, tutto il seguito dell’organizzazione, ma anche la gente che lavora al di fuori del ciclismo, coloro che hanno un’attività commerciale, bar ristoranti e che rischiano di dover chiudere ancora una volta, è a loro che va il mio pensiero più grande. Alla fine noi atleti siamo gli ultimi che possiamo lamentarsi, tutti dobbiamo cercare di fare il nostro meglio».

Articolo a cura della redazione di Tuttobiciweb

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