Congo, le radici della violenza

COSA C'E' DIETRO L'OMICIDIO DELL'AMBASCIATORE ITALIANO Luca Attanasio

Mobutu Sese Seko (al centro con il copricapo di leopardo)

di Emma Brumana

Il tragico assassinio dell’ambasciatore italiano a Kinshasa Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista congolese Mustapha Milambo, ha riacceso i riflettori su una regione da tempo dilaniata da conflitti. L’attuale insicurezza politica, militare, economica e sociale in cui si ritrova la Repubblica Democratica del Congo può essere compresa solo alla luce della ricostruzione storica del suo passato.

Le radici dell’instabilità

Secondo Jean-Léonard Touadi, presidente del Centro Relazioni con l’Africa della Società Geografica Italiana, la violenza strutturale della nazione affonda le sue radici nell’epoca coloniale. Leopoldo II, Re del Belgio, ottenne ufficialmente il controllo del Congo durante il Congresso di Berlino (1884-1885). Venne così legittimata internazionalmente la sua politica di sfruttamento intensivo delle risorse e della popolazione locale. La crudeltà e la violenza esercitata dalle società concessionarie in loco ebbero, come tragico epilogo, lo sterminio di oltre undici milioni di congolesi. Nel 1908 lo Stato Libero del Congo venne annesso al Belgio e rimase una sua colonia fino al 30 giugno 1960, data dell’indipendenza. Il processo di decolonizzazione fu scandito da colpi di stato militari e violenze nei confronti della popolazione civile. A seguito di drammatici episodi come la secessione del Katanga e l’assassinio del primo ministro Patrice Lumumba, il generale Mobutu prese il potere il 25 novembre 1965.

Mobutu divenne ben presto un dittatore schierato, nell’ottica della divisione bipolare della Guerra Fredda, a fianco del blocco occidentale. Lo Zaire divenne una pedina importante nella difesa degli interessi politici ed economici degli Stati Uniti contro la penetrazione sovietica nell’area australe del continente. Proprio per la posizione strategica dello stato, Mobutu Sese Seko governò indisturbato, come un Re Sole moderno, fino al 1997. Il regime venne rovesciato, al termine della prima guerra del Congo (1996-1997), dal generale Laurent-Désiré Kabila. Il cambio di potere non risolse la crisi, in quanto Kabila si proclamò presidente assoluto e i clan rivali – come i tutsi – si ribellarono, dando inizio alla seconda guerra del Congo (1998-2003).

Nel 2001 Kabila venne assassinato e il potere passò al figlio Joseph Kabila. Quest’ultimo ha governato il paese fino al 30 dicembre 2018. La sua presidenza è stata caratterizzata da metodi repressivi nei confronti degli oppositori e dal dilagare la corruzione. Il suo successore, Felix Tshisekedi, è oggi il presidente in carica. Egli ha aperto le porte al dialogo e alla cooperazione internazionale al fine di risolvere i problemi che affliggono la Repubblica Democratica del Congo.

La conflittualità nella regione dei Grandi Laghi

La frammentazione etnica e gli scontri tra clan rivali sono, come in altri stati africani, causa di molte tensioni. Il climax della violenza post-coloniale è stato raggiunto a seguito del genocidio in Ruanda (1994). Hutu e tutsi si sono spostati al di là del confine congolese, minando i già fragili equilibri politici e sociali. La regione dei Grandi Laghi, luogo in cui si è verificato l’agguato all’ambasciatore Attanasio, è una delle zone più esplosive del continente. La violenza dei gruppi armati ha sostituito l’autorità statale. Ad oggi si stimano tra le 120 e 160 milizie rivali che interferiscono nella gestione delle risorse.

La regione è ricca di risorse minerali e agricole e l’economia di guerra instaurata nell’ultimo ventennio di conflitti ha fortemente impoverito le comunità locali. Jean-Léonard Touadi, nato a Brazzaville, ricorda uno dei proverbi più conosciuti nella società congolese. “Débrouillez-vous” ovvero “arrangiatevi”. Questo popolo, sfruttato e soggetto a una violenza endemica dall’epoca coloniale, è riuscito a resistere a un processo di indipendenza tormentato, a due guerre civili e alla pesante eredità di un genocidio. La presidenza di turno 2021 dell’Unione Africana, destinata a Felix Tshisekedi, rappresenta la possibilità della Repubblica Democratica del Congo di portare a termine il processo di democratizzazione interno e di contribuire in maniera decisiva allo sviluppo del continente africano.

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