
di Adet Toni Novik*
Sul Corriere della sera, Massimiliano Nerozzi nell’articolo “Pogba e l’integratore: sull’etichetta c’era scritto doping. «Non l’ho visto»”, commentando la vicenda che ha coinvolto il giocatore della Juventus così conclude “Se però le cose sono andate davvero così — a questi livelli — è un’ingenuità che sta ai confini della stupidità. Tra il dolo eventuale e la colpa cosciente”.
Prescindendo per il momento dalla correttezza o meno del richiamo giuridico, l’articolo introduce un tema ricorrente nell’attualità della cronaca giudiziaria: il dolo eventuale. Figura giuridica sfuggente, ma dalle implicazioni drammatiche perché in caso di omicidio può anche comportare la pena dell’ergastolo. Ed allora, cercherò di spiegarlo ricorrendo ancora una volta al ‘Me lo spieghi come se avessi 6 anni!” di Philadelphia. Parto dai concetti basici. In ogni reato ci sono due aspetti, uno oggettivo, il comportamento della persona, ed uno soggettivo, la volontà. Se manca uno solo di essi non c’è reato. Il comportamento vietato è indicato dalla singola norma del codice (esemplificando, è punito: chi sottrae una cosa altrui – articolo 624, furto-; chi cagiona la morte di un uomo – articolo 575, omicidio-, e così via). Quello soggettivo è contenuto in due norme, gli articoli 42 e 43 e può assumere la forma del dolo o quella della colpa (tralascio la preterintenzione, non interessa). Il dolo è la volontà cattiva rivolta al delitto. Chi è in dolo vuole commettere il reato. Sparo per uccidere. La colpa è superficialità, imprudenza, imperizia, violazione di regole di condotta. Sono in colpa, il medico che sbaglia la diagnosi, l’inesperto che ripara una caldaia che esplode, l’automobilista che conduce a velocità superiore al limite consentito e uccide un pedone.
Anticipo una considerazione: il dolo eventuale è una scorciatoia nata dalla difficoltà di accertare un elemento, appunto il dolo, che risiede nella psiche di un soggetto: come faccio a sapere, quando il soggetto non ha confessato (se confessa il problema non si pone), se chi ha sparato voleva veramente uccidere e non, come ha detto, solamente ferire o spaventare la vittima? Attenzione alle parole: dolo eventuale non significa che è la presenza del dolo ad essere eventuale. Il dolo deve sostenere sempre la condotta del soggetto: la dizione dolo eventuale è soltanto una contrazione lessicale per dire che “eventualmente” la condotta del soggetto ha provocato un reato più grave di quello voluto oppure un reato ulteriore rispetto a quello direttamente preso di mira.

Tre esempi chiariranno il concetto. Primo esempio. Un malvivente, dopo una rapina, fugge in auto. La polizia istituisce un posto di blocco e un agente con la paletta intima l’alt. Il malvivente, anziché fermarsi, accelera per forzare il posto di blocco e uccide l’agente. Secondo esempio. Una macchina della polizia insegue, in un centro abitato, un furgone. L’autista del mezzo per sfuggire alla polizia procede ad altissima velocità, ed attraversa numerosi incroci con il rosso. Per due volte, l’attraversamento non provoca incidenti. La terza volta il furgone investe un’auto e uccide gli occupanti. Terzo esempio. Un uomo geloso in una pubblica piazza affollata spara numerosi colpi di pistola contro un suo rivale in amore. Un colpo raggiunge il bersaglio, gli altri colpiscono i passanti. Nei tre casi, la morte delle persone non era l’obiettivo della condotta, ma si è verificata in conseguenza di essa.
Fin qui mi pare di essere stato chiaro. I problemi nascono perché c’è un particolare tipo di colpa, detta cosciente. La colpa, come si è detto, è la condotta involontaria. Tuttavia, vi sono dei casi in cui una condotta colposa è volontaria: è la colpa cosciente. Il caso di scuola è quello del numero da circo del lanciatore di coltelli: costui lancia i coltelli uno dietro l’altro contro il partner badando ad andare vicino al corpo. L’azione è pericolosa, ma il lanciatore, confidando nella sua abilità, è convinto di non colpire il partner. Nel caso in cui, per un errore di mira, il partner viene ferito o ucciso, il reato colposo che deriva (lesioni o omicidio) è aggravato dalla colpa cosciente.
Come si vede, dolo eventuale e colpa cosciente hanno un punto in comune: in entrambi i casi, l’evento non è direttamente voluto. E qui, come in molti altri casi che la cronaca pone, si pone il problema: come distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente? Una distinzione che, come ho accennato in precedenza, si riflette direttamente sulla pena.
Molti ricorderanno la tragica vicenda dell’incendio dell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino che cagionò la morte di sette operai e un disastroso incendio. Per quel fatto l’amministratore delegato fu condannato in primo grado per omicidio con dolo eventuale (ed altri reati) ad una pena di 16 anni e 6 mesi di reclusione, mentre in appello fu riconosciuto l’omicidio colposo con colpa cosciente e la pena ridotta a 10 anni.
Come si vede, le conseguenze che derivano sulla pena dall’alternativa dolo eventuale/colpa cosciente sono rilevanti.
Tra i casi che possono presentarsi, una prima opera di scrematura può avvenire dall’applicazione della prima formula di Frank, dal nome del giurista tedesco dei primi del ‘900, Reinhard Frank, secondo la quale il dolo eventuale si realizza quando “la previsione di tale evento in termini di certezza non avrebbe trattenuto l’agente dal compiere l’azione illecita”. Cioè, il soggetto prevede che dalla sua azione possono derivare ulteriori conseguenze, ma decide di andare avanti nel suo progetto “Costi quel che costi”.
Applicando questa formula ai tre esempi fatti in precedenza, possiamo concludere che il malvivente che forza il blocco, l’autista che conduce pericolosamente il furgone, l’uomo che spara tra la folla, sono in dolo eventuale perché si sono tutti rappresentati che dalla loro azione illecita potevano derivare altri reati, ma hanno deciso di continuare in essa.
Al contrario, se pensiamo al caso Thyssen e a quello attuale di Brandizzo, in cui nei primi momenti dell’incidente si parlò di omicidio con dolo eventuale (correttamente oggi si parla di colpa), ci possiamo rendere conto che, già applicando la formula di Frank, la risposta alla domanda “Se i responsabili avessero saputo che dalla loro condotta sarebbe derivata la morte di lavoratori avrebbero agito ugualmente?” è sicuramente negativa.
L’esperienza giudiziaria apre scenari diversificati, ed insegna che in molte situazioni la formula di Frank non è sufficiente, ma sono richieste indagini più approfondite. Ed allora, sarà la specificità del caso che dovrà orientare il giurista (chi è il soggetto, perché lo ha fatto, stava commettendo un reato?) per stabilire se il fatto è stato commesso con dolo eventuale o colpa cosciente.
Chiariti questi concetti, e tornando al caso Pogba, l’attento lettore ha ora gli strumenti per decidere in quali termini possa ravvisarsi il dolo eventuale o una colpa cosciente nella condotta del giocatore che assume una sostanza dopante, se sulla scatola, come scrive l’articolista, c’era scritta la dizione doping.
*Magistrato della Corte di Cassazione a. r.