Il valore dell’impresa, le nuove sfide. E il Papa

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Papa Francesco e il presidente di Confindustria Carlo Bonomi

di Federico Visconti*

Dal diario di bordo della settimana: lunedì 12, Assemblea di Confindustria in udienza da Papa Francesco. Esperienza forte, come sempre quando si incontra il Papa. Ma anche messaggi diretti, formulati da chi è abituato a chiamare pane il pane e vino il vino: sulle sfide che la storia ci impone e sull’inverno demografico, nel merito del “mestiere” di imprenditore e dello spirito evangelico della “condivisione”, sul significato della ricchezza e del patto fiscale …. il discorso è in rete, per chi volesse leggerlo (mi permetto: tempo di lettura 11 minuti, si usa così, giusto?! …. Poi non facciamoci troppe domande sull’impoverimento culturale dei popoli. Se andiamo avanti di questo passo, chi avrà il coraggio di affrontare La divina commedia o Delitto e castigo?).

Concentro l’attenzione sul passaggio in cui il Papa osserva che una via specifica di condivisione è “la creazione di lavoro, lavoro per tutti, in particolare per i giovani”, per poi precisare: “Creare il lavoro è una sfida e alcuni Paesi sono in crisi per questa mancanza. Io vi chiedo questo favore: che qui, in questo Paese, grazie alla vostra iniziativa, al vostro coraggio, ci siano posti di lavoro, si creino soprattutto per i giovani”.

Esortazione al limite della supplica? Richiesta scontata, dato il contesto? Non direi. Da aziendalista di vecchio corso e da grande tifoso del Brambilla medio, considero il Francesco-pensiero un segnale di stima verso la categoria dei risk takers, un riconoscimento outstanding del ruolo dell’impresa, una legittimazione autorevole del “luogo” dove si generano posti di lavoro (o si prova a difenderli). Qualcuno, tra le righe, potrebbe riconoscere i caratteri del puro buon senso. Accetto la sfida, esattamente come il Manzoni quando commentava le prime reazioni alla peste: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.

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Federico Visconti

Per farlo, condivido una evidenza dal particolare valore simbolico. Tempo fa ho partecipato ad un convegno in cui il sindaco di Cittareale, paese vicino ad Amatrice, ha testimoniato l’importanza di un piccolo birrificio locale. Per un territorio di duecento abitanti, in un’area disagiata dal terremoto, cinque posti di lavoro rappresentavano una specie di manna. Tornando verso casa, ho fatto una pensata su come portare la manna al quadrato, puntando alla ventina di dipendenti. Aprendo nuovi punti di vendita? Investendo sull’e-commerce? Alleandosi? … Di opzioni strategiche avrei potuto generarne decine (lancio della panaché compreso) e sono certo che l’imprenditore ne abbia di ben più fondate delle mie, magari non dormendoci la notte, preoccupato dai debiti, dalla reazione dei concorrenti, da qualche carta bollata da compilare, o da chissà che altro. Il messaggio però deve essere chiaro, che lo si chiami buon senso o in altro modo: a domande di tale tenore rispondono gli imprenditori, con i fatti, sempre e comunque. Detto con una certa enfasi: sono loro che “costruiscono lo stipendio” dei loro operai.

Sull’altra sponda c’è il senso comune, quello che rischia il vuoto pneumatico a botte di tweet, di post e dei like. Quello che si riempie la bocca di slogan e di mantra (Navigators docet). Quello che non ha stima dell’impresa, che non ne riconosce la missione competitiva e sociale, che non perde tempo per indagarne i meccanismi di funzionamento, i problemi gestionali, le dinamiche esterne. Un dato dal particolare valore segnaletico, tratto da una ricerca recentemente condotta da GPF Inspiring Research per conto di Economy. Ben più della metà degli intervistati (circa 400 persone) considera le PMI non particolarmente rilevanti per la crescita virtuosa del Paese. Non solo, ma quasi l’80% del campione ritiene che la tenuta del modello economico italiano in questi anni difficili derivi dalle agevolazioni, dalle politiche di sostegno, dalle manovre europee …. non dalla capacità di reazione delle imprese.

Quattrocento persone non hanno alcuna valenza statistica, non esprimono una Nazione. Però fanno riflettere, rimettendo sul tavolo la vexata quaestio a sfondo cultural-ideologico che ci trasciniamo da decenni: siamo un Paese pro o contro l’impresa, l’intrapresa, l’industria, i servizi, il mercato, la concorrenza….?

Rispondo per le rime: possiamo permetterci il lusso di essere contro?! No, assolutamente no! Torno a dove sono partito: c’era bisogno del Papa per ricordarcelo?! Probabilmente no, ma ben venga che lo abbia fatto!

*Rettore Università Liuc-Carlo Cattaneo

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