Quando Giovanni XXIII curò gli infetti a Bergamo

STRANE ANALOGIE: IL PAPA BUONO FU A FIANCO DEI MALATI DI TBC E SPAGNOLA A BERGAMO

di Fabrizio Iseni

“Giovanni XXIII, biografia ufficiale”. Il libro di Mario Benigni e Goffredo Zanchi torna di estrema attualità in questi tempi di covid-19. E ci racconta un episodio che dovrebbe far riflettere. Correva l’anno 1918. La grande pandemia di spagnola, l’influenza che uccise nel mondo fra i 50 e i 100 milioni di persone, aveva iniziato a flagellare le comunità. A Bergamo, città di Giovanni XXIII, imperversava anche la tubercolosi. Anni veramente drammatici, quelli. Altro che covid. Anche perché la società usciva dalla prima, devastante, guerra mondiale.

La biografia di Benigni e Zanchi ricostruisce una pagina importante della vita bergamasca, anche oggi epicentro dell’epidemia: “Durante l’estate del 1918, don Angelo (all’epoca don Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, ndr), tuttora cappellano militare in servizio negli ospedali di Bergamo, ebbe un’offerta da parte del direttore degli ospedali stessi, la richiesta cioè di provvedere all’assistenza religiosa e morale dei soldati malati di tbc, prigionieri italiani restituiti dall’Austria. Accettò subito e ben volentieri. Il nuovo incarico non era esente dall’indubbio rischio di contagio e don Angelo ne era ben consapevole. Annotò sul suo diario: Non so spiegare a me stesso questo fatto: nessuna trepidazione mi è mai venuta a turbare,  benché l’incarico sia grave, il pericolo serio, le limitazioni che mi dovrò imporre non poche. E se dovessi contrarre anch’io il male? E morirne? Offrirò volentieri la mia vita in sacrificio al Signore in questa opera di carità, per il bene della Chiesa e dei fratelli. Ma se fra qualche tempo si sentisse dire che mi sono ammalato e morto di tbc, non si creda che io abbia fatto un atto eroico. Perché qui tutti sono impressionati dalla gravità del pericolo a cui mi espongo, ma godrò probabilmente del premio della semplicità, rimanendo illeso da ogni male. E se proprio dovessi morire, quale morte potrebbe essere più invidiabile della mia?”.

Don Angelo, cominciò a seguire i malati di tbc proprio quando a Bergamo esplose l’influenza spagnola. Il suo ospedale segnava i record di mortalità (strana analogia con il presente): un decesso al giorno, poi due e poi non riuscivano più a contarli. “Gli era diventata quotidiana la strada del cimitero, che le autorità avevano chiuso per paura del contagio. Un amico cappellano gli disse che in un ospedale da campo su 90 malati nessuno si salvò. Don Angelo rispose: E se anch’io dovessi prendere il male? Quel che vuoi tu o Signore. Purché mi diate un bel paradiso e facciate trionfare la gloria vostra”.

Don Angelo divenne Papa Giovanni XIII, il Papa buono, il pontefice che segnò la storia dei tempi moderni.