Busto Arsizio, Gallarate e la crisi dei partiti

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di Gian Franco Bottini

Le elezioni per il rinnovo delle amministrazioni, già previste per fine maggio, sono state rinviate all’inizio di autunno e la cosa riguarda le più grandi città della nostra provincia.

Dal punto di vista del buon senso nulla da eccepire, data la crescente preoccupazione pandemica; dal punto di vista” politico” le opinioni sono contrastanti, visto che, in tal caso, appellarsi al  buon senso sarebbe come pretendere di fare un tuffo  in piscina senza bagnarsi.

Nella realtà si rischia di fare una campagna elettorale lunga sei mesi, dove il peggio verrà  a  galla! La gente, già colma dei suoi problemi, sarà costretta ad assistere a zuffe fra quelli che sembravano amici, amicizie fra coloro che sembravano incompatibili, scheletri tolti dagli armadi altrui, rigurgiti di vanità senza un domani.

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Gian Franco Bottini

Guardiamo la situazione di Busto e Gallarate, due delle nostre città così vicine fra loro per storia e geografia che se non ci fosse qualche “campanile” di mezzo potrebbero essere un’unica città. I partiti  del centrodestra  che attualmente governano sono già  ai ferri corti fra loro, pronti a scannarsi su una prospettiva elettorale che, se  fino a ieri era dietro l’angolo, oggi, che si è allontanata, dovrebbe  suggerire di fermare le bocce, pensare ai problemi reali e rimandare le  conflittualità. Ma ciò non avverrà e quella che fu una già magra partecipazione al voto di cinque anni fa, rischia di essere ancor più  snella, a scapito di una “maggioranza (di elettori) sempre più silenziosa.

Ambedue i sindaci uscenti hanno la legittima pretesa di riproporsi, ma  i loro attuali amici vantano la ugualmente legittima pretesa di sostituirli. Gli stessi “uscenti”  intravedono il vantaggio di avere sei mesi inaspettati per proporre fantasiosi progetti per il futuro e sperare di concludere iniziative in corso, delle quali potersi intestare il merito. Di contro però essi intravedono il pericolo di veder venire a galla  insuccessi latenti e problemi giudiziari, di diversa natura ma di ugual imbarazzo, che i propri sodali si affanneranno a definire  prodotti dalla “macchina del fango” ma che gli avversari tenderanno a dimostrare essere fango vero. Quello che essi  avranno più  da temere è il fuoco “amico” perché il centrosinistra, il tradizionale avversario, è già brutalmente spaccato, come da tradizione, e  probabilmente si farà male da solo.

Apparentemente marginali, e perciò considerati  ininfluenti, in ambedue le città esistono  dei gruppi “civici” e, parlando di civici veri e non di fasulli acchiappavoti, essendo essi equidistanti da destra e da sinistra, sono  guardati dai partiti con un certo goloso interesse ma con altrettanto  sospetto .

Questa situazione nelle nostre due città  e, dal  più al meno, è  la fotografia della crisi dei partiti che si è evidenziata a livello nazionale e che è stata  risolta da Mattarella facendo ricorso a Draghi, persona fuori dalle logiche di partito , e a un gruppo di cittadini scelti per la loro conoscenza dei problemi e altrettanto slegati da qualsiasi bandiera se non a  quella tricolore. Se quest’ultima affermazione sia vera lo dovremo comunque ancora verificare, dato che la collaborazione stretta fra loro e i partiti potrebbe essere infettante!

Con una azzardata conclusione, non priva però di qualche concretezza,  si potrebbe dire che di fronte alla conflittualità della politica tradizionale e in attesa che il sistema partitico si riassesti sulla base di nuovi scenari, il buon Presidente si sia rivolto a dei “civici”, come sono Draghi e i suoi “tecnici”, perché con la loro equidistanza cercassero di smussare le conflittualità ideologiche e le diverse posizioni preconcette dei partiti, completamente incartati.

Pretendere di aver un Draghi in ogni comune ci pare un po’ troppo;  pensare però di avere un “civico” che ripercorra il suo schema forse, anche per il più arrogante dei partiti, potrebbe essere visto  come una via d’uscita particolare, in un momento altrettanto particolare.

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