Giulia Maria Crespi, ricordo green della “contessa rossa” che amava arte e potere

bruno crespi contessa rossa

MILANO – “Chi ha avuto molto, deve dare molto”: è forse questa la frase più significativa che Giulia Maria Crespi aveva il piacere di ripetere spesso. La ‘contessa rossa’, come veniva definita anche in maniera un po’ impertinente, che amava l’arte, la natura e, non si può negare, il potere nei giorni scorsi si è spenta serenamente a 97 anni a Milano, la città dove viveva e a cui lei, proveniente da Merate nella ricca Brianza, era legatissima. Tutti in città ricordano le sue passeggiate, il modo in cui guardava i giardini e i cortili segreti della metropoli, la naturalezza con cui girava per le strade sempre indaffarata, ma attentissima e presente.

Progressista fino allo stremo, naturaliter di sinistra per privilegio di nascita quale erede di una facoltosa famiglia di cotonieri – solo i ricchissimi riescono a persuadersi senza tentennamenti nella giustezza di alcune idee, la rimbrottavano i maligni -, aveva però fortissimo il senso dell’identità italiana (pur disprezzando, pare accertato, nazionalisti e sovranisti). La Crespi è stata certamente una protagonista della cultura italiana e ha inciso fortemente sui circoli intellettuali e non solo.

Una storia singolare che passa da un forte impegno politico agli ultimi decenni post-sessantotto dedicati alla natura – alla vita e alla politica green – testimoniata dalla creazione, nel 1975 con Renato Bazzoni, del Fondo ambientale italiano (Fai) del quale fino all’ultimo è stata l’anima ispiratrice come presidente onoraria. Ed è qui che forse dette il meglio di sé. E l’associazione la ricorda con parole inequivocabili: “La chiarezza del suo insegnamento, il solco tracciato, lo stile e l’entusiasmo infuso in qualsiasi cosa facesse indicano senza incertezze la strada per il bene del Paese, nella missione che lei stessa contribuì a definire”. “Essendo stata educata secondo i sani e severi principi della borghesia lombarda in base ai quali ‘chi ha avuto molto, deve dare molto’, frase che Giulia Maria amava ripetere, conosceva, apprezzava e stimolava – da sempre praticandolo in prima persona – il ruolo che il volontariato svolge nella società civile, sostenendo e incoraggiando” l’azione concreta, scrive il Fai.

Che prosegue: “Pur essendo di carattere forte e imperativo ha sempre fortissimamente creduto nel lavoro di squadra come unica possibilità per ottenere risultati seri e duraturi. Una creatività inesauribile, una riluttanza per i compromessi, una passione per il dialogo, una singolare unità di ideali e concretezza, una noncuranza per le difficoltà – tanto più stimolanti quanto ardue – e una mai incrinata perseveranza ne hanno fatto una figura impegnativa per chiunque avesse a che fare con lei, ma al tempo stesso un esempio inimitabile e senza sfumature di ideali civici e di passione per la vita, per la cultura e per l’ambiente. La cura e la salute della Terra come fondamento per la salute dell’Uomo, lo strenuo impegno per una agricoltura senza veleni, insegnata e praticata nella sua grande azienda agricola della Zelata sulle rive del Ticino (è stata tra i fondatori dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica) e la passione per la tutela dell’Ambiente, inteso nel suo inscindibile legame con la Storia, sono stati i temi che, insieme alla grande attenzione per il mondo della scuola, hanno guidato la sua attività, come sempre instancabile e generosa, nell’ultimo decennio della sua vita”.

E’ il ricordo da ambientalista che è rimasto più impresso in una donna che non ha avuto una facile vita nonostante le apparenze: vedova del conte Marco Paravicini a soli 4 anni dal matrimonio ha avuto la sfortuna di dover seppellire anche il figlio Aldo morto, a 65 anni, solo due mesi fa in un incidente autostradale. E’ stata la proprietaria del Corriere della Sera a cui dette una svolta progressista, all’inizio degli anni Settanta, con la sostituzione di Giovanni Spadolini con Piero Ottone e l’aperto contrasto con il giornalista tuttora più famoso d’Italia, Indro Montanelli, la cui diaspora portò alla fondazione de Il Giornale.  Queste però sono storie vecchie: è la sua testimonianza ‘verde’ che si è voluto raccontare. Perché la storia intera della ‘contessa rossa’ potrebbe riempire una enciclopedia.

Angela Bruno

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