Busto, i 70 anni di don Francesco Casati. Dall’insegnamento alla Caritas: «Educare all’aiuto»

BUSTO ARSIZIO – I 70 anni di don Francesco Casati, responsabile della Caritas della parrocchia di San Giovanni. «Dopo 26 anni qui, mi sento cittadino bustocco». Una Messa nel santuario di Santa Maria oggi pomeriggio, 23 maggio, alle 17.30, per celebrare il traguardo raggiunto dal sacerdote originario di Rescaldina, dal 1996 in San Giovanni, impegnato fino al 2019 con l’insegnamento della religione cattolica al liceo Crespi dove è stato anche vicepreside. «Serve anche educare all’aiuto – rivela don Francesco – lo scopo della carità è aiutare le persone a rendersi indipendenti. Non distribuire il pesce ma insegnare a pescare».

I 70 anni di don Francesco

Classe 1952, ordinato sacerdote nel 1977, è stato assegnato prima alla parrocchia di Canegrate, poi dal 1984 a Biumo Inferiore a Varese. Inserito a tempo pieno nella realtà della scuola come insegnante di religione, dal 1996 si è trasferito alla parrocchia di San Giovanni, e dopo due anni di insegnamento al liceo classico di Gallarate l’approdo al Crespi di Busto, dove negli anni oltre all’insegnamento si occupa del sistema di qualità Iso e poi assume il ruolo di vicepreside, fino al pensionamento, nel 2019. «Ma la pensione non so cosa sia» ammette don Francesco, che in parrocchia segue il corso fidanzati e la catechesi dei genitori prima del battesimo. E dal 4 aprile 2020, in pieno lockdown, è responsabile del neonato gruppo Caritas San Giovanni. «Ci chiedemmo se potevamo fare qualcosa – racconta don Casati – è una realtà che ha sempre più preso corpo e che richiede moltissime forze. È impegnativa da portare avanti, perché chiede sempre di esserci».

Da 26 anni in San Giovanni

Esserci. Per don Francesco Casati è un concetto fondamentale. Nei suoi anni in San Giovanni ha visto cambiare tre parroci – Claudio Livetti, Franco Agnesi e Severino Pagani – e tre coadiutori – Alberto Beretta, Alberto Lolli e Giovanni Patella. «Con dinamiche diverse e la fatica di provare a capire una dimensione comunitaria, difficile in una parrocchia che sente il fatto di essere la parrocchia centrale. Nell’impegno preso con la Caritas nel farsi carico degli altri si sente di più la comunità». Infatti è emblematico che il gruppo Caritas sia sorto solo due anni fa in pieno lockdown, mentre prima di allora l’attività caritativa veniva affidata esclusivamente alla San Vincenzo. «C’è un connubio tra le due realtà, ma se in questo caso sono volontari che si mettono a disposizione, con la Caritas è la parrocchia stessa che si fa carico della carità della comunità».

L’impegno della Caritas

Il gruppo Caritas San Giovanni è formato da una quarantina di volontari, che vanno dagli adulti che lavorano ai giovani e adolescenti che danno una mano. «Una novantina le famiglie che seguiamo, circa 300 persone in tutto – fa sapere don Francesco – quest’anno abbiamo distribuito più di 550 pacchi, 120 al mese. Per continuare a farlo dobbiamo provvedere a trovare aiuti e finanziamenti, e continuiamo a cercare collaborazioni oltre a quelle già instaurate». All’ordinario si aggiunge l’impegno all’accoglienza dei profughi ucraini, portato avanti insieme ai giovani dell’oratorio e del centro giovanile Stoà per riqualificare due appartamenti in via Pozzi e uno in via Tettamanti, a disposizione dei rifugiati in attesa di indicazioni dalla Diocesi.

La sfida della carità

Nella sede Caritas di via Pozzi arriva anche la «marginalità meno appariscente, quella che non bussa mai alle porte». Persone con figli che dopo due anni di Covid sono in difficoltà, con una prevalenza di famiglie del Nord e Centro Africa e dell’America Latina. I bisogni? «Le bollette diventate eccessive e il lavoro non facile da trovare, anche se c’è ma va cercato. Il nostro scopo è aiutare le persone a rendersi indipendenti». Al mattino si fa ascolto, per monitorare la realtà, e al pomeriggio si erogano gli aiuti. Tra cui la “stanza per vestiti”, come un negozio in cui non si paga il conto. «Ma c’è chi faceva incetta e abbiamo contingentato gli accessi, con tesserino solo due volte al mese. Bisogna portar via solo quello che serve. Occorre anche educare all’aiuto».

I giovani e le famiglie

Educare, missione di una vita per don Casati: «Mi manca il rapporto diretto con i ragazzi, che ti provocano e hanno criteri e modalità diverse di gestire la vita. Ma il filo non si è staccato». Tanti giovani che ha avuto a scuola «oggi sono professionisti, mariti, padri. Qualcuno l’ho sposato». Ieri alunni, oggi “classe dirigente”. Ma sono pronti? Don Francesco i giovani li vede così: «Un conto sono i giovani che sono ancora in fase di formazione e determinazione del loro progetto di vita e della loro professione: sono un po’ più fragili, devono fare un’esperienza forte di incontro con la vita, devono ancora temprarsi – il ragionamento del sacerdote – altro sono quelli che trovano la loro strada professionale. Lo stacco si percepisce quando paghi la prima bolletta o quando intraprendi relazioni forti. Sono quelli che adesso gestiscono la realtà». E poi ci sono gli adolescenti, che sono stati «due anni dentro le quattro mura di casa, nel mondo virtuale. È ora di spingerli fuori dal nido». La famiglia rimane strategica: «Ho ancora moltissimi incontri con la gente, in cui rimango anche solo ad ascoltare – sottolinea don Francesco – molte tensioni trovano nella famiglia il conflitto, che non viene risolto, mentre quello con la realtà esterna spiazza. Hanno bisogno di un confronto fuori dall’aspetto familiare».

busto arsizio don francesco casati – MALPENSA24