Che cosa ci sta insegnando il coronavirus

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di Gian Franco Bottini

Solo un paio di settimane fa segnalavamo da queste pagine che fra le ricadute della questione coronavirus bisognava considerare il suo impatto negativo sui rapporti sociali, famigliari e affettivi. Allora ci riferivamo particolarmente alla limitata “zona rossa” e sembrava un parlare di cose lontane che solo altri, e anche pochi, avrebbero dovuto gestire. Poi , nel giro di poche ore, siamo diventati tutti “zona rossa” e tutti chiamati ad affrontare quei problemi di convivenza forzata che, di fronte all’angoscia della malattia, sembrano secondari ma che, via via che i giorni passano, portano nelle case situazioni a volte nuove, a volte che si credevano risolte ma che oggi, forzatamente compresse fra le quattro mura, rischiano di esplodere e rendere ancor più difficile quelle rinunce alle nostre libertà che invece abbiamo l’obbligo morale , oltre che pratico, di accettare.

Questo è uno degli strascichi che il coronavirus ci lascerà e prenderne coscienza oggi ci consentirà di
gestire le situazione in maniera opportunamente equilibrata tale da renderli meno difficili da assorbire
domani. Certamente, come dicono i nostri bambini, “andrà tutto bene” e non si può negare che questo virus, che va odiato, combattuto e battuto, qualche ricaduta positiva ce la fornirà: quella, per esempio , di averci aperto gli occhi, o se preferite, chiarite le idee su alcune cose.

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Gian Franco Bottini

La prima: l’inutilità anzi, in alcuni casi, la nocività di questa Europa. Siamo e restiamo europeisti convinti , ma a questo punto siamo altrettanto convinti che non è certo “questa” l’ Europa che serve. A seconda delle circostanze essa è sciatta, distratta, matrigna, cialtrona , egoista e spesso vigliacca come lo è da anni di fronte ad un problema planetario come l’immigrazione e come si è dimostrata di fronte alle nostre difficoltà di questo momento . Fino ad ieri si diceva che l’Europa va rivista e corretta perché alla fine, almeno dal punto di vista finanziario, con la moneta unica ci sorregge; oggi, pensionato il buon Draghi, anche per questo aspetto siamo, a malincuore, costretti ad usare i pessimi aggettivi di cui sopra. Dire oggi dire che l’Europa va rivista e corretta ci pare poco : l’Europa va ripensata e rifatta.

La seconda : la necessità delle “autonomie” regionali. Ci si sarà chiesto perché il virus si è così velocemente insediato e sviluppato in Lombardia, Veneto ed Emilia e perché altre regioni sono state quasi risparmiate. Non certo perché quelle colpite sono le popolazioni più deboli ma perché si tratta delle regioni che fanno da traino economico alla nazione e quindi necessariamente più globalizzate e soggette a contatti esterni. Se questa diversità fra regioni è conclamata dai fatti (“fattuale” direbbe qualcuno) è ottuso non riconoscerla riconoscendo di conseguenza la particolarità delle esigenze in alcuni settori della vita quotidiana; oggi si parla ovviamente di sanità ma ben noti sono gli altri settori interessati..

All’inizio della vicenda coronavirus si è sicuramente perso di rapidità ed incisività negli interventi , per un non sempre nascosto braccio di ferro fra potere centrale e regionale. Al netto di qualche sciocca incrostazione politica iniziale , era evidente che le regioni colpite miravano ad interventi molto più vicini alla realtà delle loro situazioni mentre il governo era giustamente preoccupato, nell’emettere dei provvedimenti, di tener d’occhio anche il loro impatto sull’intero territorio nazionale.
In alcune materie però, e nella sanità in primis, i fatti hanno dimostrato che un adeguamento, di strutture e procedure, alle caratteristiche del territorio è indispensabile. Se chiamarla “autonomia” crea dei fastidi a qualcuno, la si chiami come si vuole; di sicuro però il virus ci ha chiaramente fatto capire che è imprescindibile che la cosa si faccia.

La terza : l’evidente stupidità di sentirsi “furbi”. E’ inutile negarlo, è nel nostro Dna quello di “ fare il furbo” altrimenti non esisterebbe da tempo il proverbio “fatta la legge, trovato l’inganno”. Non nascondiamoci che siamo dei viziati, refrattari a qualsiasi limitazioni, facilmente insubordinati quando ce ne viene imposta qualcuna; ma non insubordinati a petto nudo, insubordinati “furbi” per non aver conseguenze di fronte a prescrizioni spesso “ interpretabili” fatte da legislatori altrettanto così “furbi” da lasciare dei ruffiani spazi di manovra. Ricordate le domeniche a piedi o a targhe alternate ed i mille stratagemmi per fregare le disposizioni? Anche questa volta, nelle prime settimane, ci abbiamo provato senza capire che in questo caso fare i “furbi” non significava fregare la norma ma, come tanti Tafazzi, fregare noi stessi . Sembra che adesso la cosa l’abbiamo capita e sia chiara anche ai ragazzi ai quali auguriamo che questo brutto periodo insegni loro ad essere, anche in altre circostanze della loro lunga vita, meno “furbi” di quanto nel passato siamo stati noi che ragazzi non siamo più.

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