Ha copiato la tesi di laurea, ministra si dimette. In Germania

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In Italia le dimissioni dei politici inquisiti non sono contemplate

Una ministra della Germania, Franziska Giffey, responsabile del dicastero della Famiglia, astro nascente della Spd, si è dimessa perché sospettata di plagio: avrebbe copiato parte della sua tesi di laurea. Non è la prima volta che ciò accade da quelle parti: per la stessa ragione in passato avevano lasciato i loro incarichi nel governo di Angela Merkel altri due ministri rei, appunto, di non aver citato le fonti ispiratrici dei loro elaborati universitari. Nessun reato da perseguire penalmente, molto da ridire rispetto al rapporto di fiducia con i cittadini tedeschi.

Perché sottolineiamo questa notizia che, in teoria, non ci riguarda direttamente è facile da capire: perché da noi le dimissioni di rappresentanti delle istituzioni a ogni livello non sono quasi mai contemplate. Bisogna sentire il tintinnare delle manette per parlare di dimissioni. E anche in quel deprecabile caso non sono una pratica scontata. Vecchio, irrisolto problema, si dirà. Per il quale non varrebbe nemmeno la pena perderci tempo, tanto nessuno ne prenderebbe atto. Le questioni etiche e comportamentali sono in fondo agli interessi della classe dirigente, soprattutto quando ne è coinvolta. Meglio stare fermi, lasciar correre, al massimo esprimere ipocrita fiducia nell’operato della magistratura se in ballo c’è una vicenda giudiziaria e aspettare che la buriana si attenui o passi o, peggio, si stemperi nelle nebbie di una giustizia a volte inconcludente.

Gli esempi sono molteplici anche qui da noi, in provincia di Varese, in un territorio dove un discreto numero di politici, alcuni tutt’ora con cariche pubbliche, è chiamato a chiarire scelte e posizioni generatrici di sospetti più o meno seri. Comunque, sospetti, che provocano coni d’ombra attorno alle stesse istituzioni. Le dimissioni sono però viste come una indiretta ammissione di colpevolezza e, si sa, nessuno è colpevole fino a prova contraria. Tanto più che l’opinione pubblica è veloce nell’archiviare anche le notizie più scomode o sconvenienti. Tutto passa come l’acqua sul marmo. Al punto che ci sono eletti istituzionali che, colpiti da un avviso di garanzia, scompaiono dall’orizzonte pubblico, non danno più cenno di loro né della loro attività ma continuano a percepire solidi emolumenti. Dimettersi benché inquisiti, neanche a parlarne.

Gli esempi sono molteplici, e riguardano anche sindaci, assessori, rappresentanti regionali e non solo. Le indagini ancora in corso, per altri i processi, diranno se hanno colpe oppure no. Ma i dubbi per il momento rimangono. Non solo su presunti reati, ma anche per dichiarazioni e promesse del passato smentite per opportunità personale o politica, per i cambi di casacca, i repentini collocamenti in lidi politici più accoglienti e disponibili che, giratela come vi pare, pongono in gioco affidabilità, coerenza e serietà dei comportamenti. Il problema è duplice: nessuno prova più vergogna e nessuno è ancora capace di indignarsi davvero.

Inutile dilungarci: non siano in Germania e, qui da noi, chi copia una tesi di laurea e la passa liscia è considerato un furbo o, meglio, per dirla con un termine moderno, un figo. Del resto, pur trita e ritrita, vale sempre la battuta di Giulio Andreotti: “In Italia le dimissioni è meglio non darle, potrebbero accettarle”.

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