Etiopia, la regione del Tigray isolata dal mondo

LA GUERRA SILENZIOSA CHE STA DEVASTANDO UNA REGIONE DEL CORNO D'AFRICA

di Carlo Pedroli

Il conflitto armato nella regione etiope del Tigray sta provocando una crisi umanitaria”. Con queste parole inizia la dichiarazione ONU del 16 dicembre 2020. Non è d’accordo il presidente Abiy Ahmed che continua a difendere il suo operato e a minimizzare la situazione. Quello in Tigray però resta uno scontro congelato e tutt’altro che risolto.

Lo scorso 28 novembre, con l’ingresso delle truppe regolari nel capoluogo tigrino di Makallè, il governo etiope ha di fatto dichiarato concluse e risolte le ostilità fra il Fronte di liberazione nazionale del Tigray secessionista e le forze armate di Addis Abeba, dimenticando e nascondendo agli occhi dell’opinione pubblica possibili massacri di radice etnico-razziale, scatenati dall’occupazione militare. Stando alle parole del presidente, in data 13 dicembre, “la situazione a Makallè è sotto controllo. La connessione internet e l’elettricità verranno presto ripristinate. Continueremo ad arrestare questi criminali”. Affermazioni in netto contrasto con le preoccupate dichiarazioni e richieste d’aiuto rilasciate da esponenti di organizzazioni come Amnesty International e Unicef, che da giorni cercano di orientare i riflettori internazionali verso la crisi etiope, denunciando la mancanza di aiuti umanitari e i molti atti di violenza etnica che hanno interessato il Paese nelle ultime settimane.

Al momento gran parte dell’Etiopia vive isolata dal mondo. Il governo centrale ha imposto il blocco delle comunicazioni. “Il blocco delle reti internet imposto dal governo è stato giustificato dal premier Abiy Ahmed come misura atta ad impedire alle cellule terroristiche di riorganizzarsi – sostiene Simone D’Alò, membro della fondazione EEF (Ethiopian Education Foudation) attiva in Etiopia – ma di fatto impedisce ai cittadini della regione di comunicare con il resto del mondo e di denunciare eventuali massacri o situazioni d’urgenza sanitaria. Ci sono tutti i presupposti per pensare ad una radicalizzazione del conflitto. A Mai Kandra, ad esempio, sono stati uccisi 600 civili il 9 novembre”.

Mentre il governo cerca di rassicurare la comunità globale, tentando in tutti i modi di evitare l’internazionalizzazione della questione, migliaia di cittadini tigrini sono costretti a fuggire lungo il confine con il Sudan, ammassandosi in campi di fortuna e spesso subendo le minacce degli estremisti insorti.

Questa crisi, sottolinea Simone D’Alò, ha radici nei forti contrasti etnici del paese, ma non bisogna dimenticare la dimensione politica dell’evento. Il TPLF ha governato il paese negli ultimi 30 anni e non ha mai accettato il rinvio delle elezioni, che è stato senza dubbio l’evento scatenante. Il governo regionale del Tigray non ha rispettato la decisione, ha eletto un proprio rappresentante e di fatto dichiarato l’indipendenza, scatenando così lo scontro. La dura risposta militare di Addis Abeba che, almeno secondo fonti ufficiali, ha messo fine al conflitto e impedito la secessione, starebbe facendo precipitare il Paese in un vortice di tensione e di violenze.

Abbiamo salvato l’integrità dell’Etiopia. Il governo ha dimostrato la sua forza contro i terroristi”: questi i messaggi che – come ricorda Simone D’Alò – la televisione etiope trasmette ai propri cittadini, mentre il governo “rimuove sistematicamente la possibilità di connessione con il mondo esterno. Sono bloccati anche i conti bancari, le scuole, le Università. I giornalisti non ricevono i permessi [per accedere alle zone coinvolte], gli spostamenti sono impediti e i confini restano chiusi quando invece bisognerebbe aprirli agli aiuti umanitari per porre davvero fine alla questione in modo pacifico”.

L’Unicef denuncia mancanza di cibo, alimenti terapeutici, medicine, acqua e carburante ma la ferma decisione di Addis Abeba resta quella di gestire internamente la questione evitando ingerenze esterne e massicci interventi umanitari.

Ad oggi, difficilmente i Paesi confinanti potrebbero schierarsi con i Tigrini insorti. Infatti Eritrea e Sudan stanno già negoziando sul rimpatrio dei profughi e collaborando con il presidente etiope. Il governo dovrebbe quindi fare chiarezza sulla linea politica adottata per ricucire le ferite del Paese, garantendo piena collaborazione umanitaria, cercando di evitare altri massacri e ponendo fine alla questione senza provocare nuove crisi.

CORNO D’AFRICA