QSVS più forte del Coronavirus. Ravezzani bacchetta i calciatori: “Assenti in questa emergenza”

Il Coronavirus ha modificato inevitabilmente il modo di fare informazione anche a QSVS. Il Direttore Fabio Ravezzani ha raccontato ciò che si  sta facendo e in che direzione si sta andando. Ha affrontato il  tema del ridimensionamento dei costi del calcio e del valore economico e sociale dei calciatori. Riflessione a 360 gradi con confronti con il calcio degli anni Ottanta perché probabilmente quei giocatori ne sarebbero usciti meglio di quelli di oggi. Ma una convinzione c’è: nonostante tutto, secondo lui, non ci sarà disamoramento verso il calcio.

Rispetto alla fisionomia della trasmissione qual è stato il suo pensiero nel momento più pesante dell’emergenza?

Il primo pensiero è stato immediato: siamo nei guai. Nel senso che anche noi come tutte le trasmissioni di informazione sportiva non potevamo pensare di confermare i dati pazzeschi che avevamo registrato durante il campionato. Il secondo pensiero è stato: dobbiamo riconvertire tutto e fare solo informazione e non parlare più di calcio? Abbiamo scelto una formula che devo dire sta pagando. Facciamo calcio ma aggiorniamo anche costantemente sulle notizie che arrivano sul coronavirus. Anche perché la gente vuole aggiornarsi, ma vuole anche distrarsi. Per esempio mi ha fatto molto piacere ricevere la lettera del sindaco di Gandosso, Alberto Maffi, che ci ha raccontato che girando per le case dei suoi concittadini vedeva che erano sintonizzati su Topcalcio24 e chiedeva come mai. Gli hanno risposto che stiamo facendo un bel lavoro perché diamo aggiornamenti sulla situazione, parliamo di calcio e in più facciamo anche sorridere. Questo sindaco ha sentito il bisogno di scriverci una mail bellissima per ringraziarci del lavoro che stiamo facendo. E questo dà un po’ il senso del nostro lavoro in questo periodo.

Secondo lei che percezione hanno i telespettatori rispetto al ritorno del calcio giocato?

In questo momento sono molto disorientati. La maggior parte ha capito che certe polemiche non hanno più molto senso, l’avevo subito intuito che si sarebbe andati verso questa direzione. Era evidente che eravamo alle soglie di una tragedia e ragionare sui vecchi schemi era ridicolo e inutile. C’è un approccio diverso, c’è interesse a sapere quando si parte, dove si parte, se qualche squadra pensa di cambiare giocatori oppure no. La polemica aggressiva e negativa del calcio, quella dei retroscenisti a tutti i costi per fortuna l’abbiamo un po’ persa.

Questa situazione potrebbe produrre disamoramento verso il calcio?

Secondo me no. Credo che ci sia una grande voglia di ripartire e rincominciare. Malgrado i suoi protagonisti, che sono infinitamente meno degni rispetto al messaggio che portano, il calcio ritengo abbia ancora un grande valore sociale. La voglia di vedere ripartire il campionato di calcio è fortissima perché sarà un segnale che tutto sta tornando alla normalità.

Cosa non le è piaciuto del mondo del calcio in questa emergenza?

L’Associazione Italiana Calciatori che non ha saputo fare altro che dire: “non vogliamo sentire parlare della riduzione di stipendi”, è stato come buttare la palla in tribuna, per usare una metafora calcistica. Non mi è piaciuto l’atteggiamento di molte società che hanno pensato soprattutto a ciò che convenisse fare piuttosto che cosa fosse più giusto fare. Nell’insieme, il mondo del calcio non ha dato una bella immagine. La cosa non mi stupisce perché siamo di fronte mediamente a dei milionari viziati che hanno sempre pensato a sé stessi, presidenti che hanno passato tutto il tempo a litigare per un euro. Mi sarei aspettato un po’ più di solidarietà e qualche iniziativa concreta verso chi sta soffrendo, invece è stato lasciato tutto a qualche sporadica iniziativa personale. C’è stata un’assenza inspiegabile e ingiustificabile da parte dei protagonisti del calcio. Hanno pensato più a scappare e tornare a casa loro che a darsi da fare.

Come ha giudicato il rientro in patria di alcuni giocatori?

Pessimamente, perché nel momento in cui siamo tutti chiusi in casa e c’è un’emergenza e un paese in ginocchio in cui si chiede semplicemente di dare un po’ di esempio e si ha la fortuna di essere ricco e non malato, vedere questi che prendono l’aereo personale e scappano per tornare a casa perché ci ritengono quasi un paese appestato, lo trovo veramente misero.

Alle stesse scene avrebbe assisitito anche negli anni ’80 quando faceva il cronista sul campo?

Ho avuto la fortuna di seguire il calcio quando giocavano Maradona, Platini, Junior, Gullit, Van Basten e Rumenigge e devo dire che era anche un mondo diverso. Era un mondo in cui non c’era l’invadenza degli addetti stampa, delle società, di quello che parlava davanti a 30 giornalisti. Era ancora il calcio in cui tu andavi davanti a uno spogliatoio e aspettavi di parlare con il giocatore. Scambiavi delle opinioni a volte anche dei sentimenti di amicizia. Tutto questo non c’è più e credo che questo cambiamento abbia fatto il male soprattutto dei calciatori, che sono talmente anestetizzati e sotto una campana di vetro per cui anche un certo tipo di rapporto con la quotidianità, sono andati a perderlo. Tutto ciò ha tolto anche un po’ di umanità al calcio di oggi.

Quel mondo del calcio oggi avrebbe reagito in modo diverso?

Si, avrebbero agito in modo diverso perché c’era più spazio per le singole iniziative dei calciatori. Negli anni ’80 in questa situazione poteva esserci il giornalista della televisione o della carta stampata che andava a parlare, magari con Dino Zoff, per fare un nome, chiedendogli se avesse voluto aderire a una sottoscrizione di raccolta fondi. E Dino Zoff avrebbe probabilmente accettato. Oggi invece devi chiamare la società che ti rimbalza sull’addetto stampa che ti dice di no perché ha già ricevuto altre 45 richieste simili e non si vuole scontentare nessuno. Diventa solo politica.

Oggi uno come il compianto Professor Scoglio cosa avrebbe detto?

Racconto un aneddoto: negli anni sono diventato molto intimo di Scoglio, avevo fatto tutto un ritiro con il Genoa come inviato per Tuttosport e gli ero stato simpatico. Poi è venuto a Torino ed era stato mio opinionista. Gli feci un’intervista radiofonica quando ancora ci si conosceva poco, lo chiamai e gli dissi: “scusi per il disturbo, vorrei farle due domande”, lui mi rispose: “No, no, nessun disturbo. Lei sta facendo il suo lavoro e io rispetto il lavoro degli altri”. Io rimasi molto colpito perché raramente mi sono sentito dare una risposta del genere dal mondo del calcio.
Lui secondo me avrebbe detto: “Noi abbiamo il dovere di dare un esempio e dare l’esempio vuol dire non scappare. Appena c’è la possibilità riprendiamo”

Come procederebbe con con il campionato?

La prima idea è quella di garantire un buon grado di sicurezza. L’unica via da percorrere è quella di ricominciare a vivere sapendo di avere qualche rischio in più rispetto a prima. Se non troviamo una sintesi ragionevole anziché morire di coronavirus rischiamo di morire di inedia.
C’è uno scenario ottimistico in cui si dice giochiamo a porte chiuse fino a fine anno ovviamente. Riprendiamo il campionato il 13 maggio giocando anche ogni tre giorni e finiamo anche le coppe ad agosto, e poi uno scenario più pessimistico in cui individuiamo un’area, la meno contagiata possibile, con coronavirus quasi azzerato e facciamo una specie di play-off e play-out e la risolviamo così.

L’emergenza ha modificato la percezione delle persone verso i giocatori?

La percezione dei giocatori sicuramente è stata ridimensionata. La loro assenza anche mediatica, anche di iniziative, ha in qualche modo impattato negativamente nella percezione e se la porteranno dietro anche dopo perché ci sarà sempre qualcuno che gli ricorderà che sono scappati mentre il paese annaspava. Ma anche tra quelli che non sono andati via non mi viene in mente nessuno, tra quelli in attività, che si sia reso protagonista di qualcosa di particolarmente degno.

Verrà ridimensionato il campionato dal punto di vista economico?

Ci sarà un importante e secondo me anche benefico ridimensionamento economico. Mi chiedo come sia possibile che un allenatore prenda 11 milioni di euro e mi riferisco a Conte, per poi portare grossomodo l’Inter a come era l’anno scorso. O come sia possibile che un giocatore, per quanto buono, come Cristiano Ronaldo prenda 31 milioni di euro l’anno o Griezman 19, facendo il panchinaro a Barcellona.
Io credo che quando una persona guadagna 3 milioni all’anno netti con un contratto triennale, cosa se ne fa degli altri 9? È uno sport che strapaga così tanto i suoi protagonisti dandogli il superfluo del superfluo da aver perso completamente le misure. Adesso credo che Cristiano Ronaldo o Conte anziché guadagnare 31 milioni e 11 ne guadagnassero 10 e 3,5 starebbero iperbene lo stesso.

Rischia di essere un’estate da calcio in tribunale?

Qualunque decisione fosse presa nel caso non si concluda normalmente, il campionato finirà nei Tribunali. Io auspico che ci siano delle leggi speciali per redimere velocemente tutti gli eventuali contenziosi nati in seguito alla tragedia del coronavirus.

Che messaggio vuole inviare ai telespettatori di QSVS?

L’esempio che proviamo a fornire è quello di non perdere la speranza. Di non darsi per vinti anche solo con la speranza e quindi continuiamo a parlare di calcio, cinema, cultura, cucina, di cose che vorremmo fare appena questa situazione finirà perché non c’è nulla di peggio in una situazione di questo genere di perdere la speranza quando la speranza invece può essere ancora concreta e oggettiva. Abbiamo visto infatti alcuni paesi come la Cina che, seppur tra qualche alto e basso, ripartono. La reputo come una sfida che dà un sapore diverso alla nostra vita. Nessuno di noi avrebbe mai pensato di trovarsi in questa situazione anche solo i primi di gennaio. È una sfida con cui dobbiamo misurarci tutti. Anche chi sta perdendo molto non deve vivere il momento con disperazione. Ma è una prova alla quale siamo stati chiamati. Se riusciamo a viverla così, riusciamo a dare un senso a questo terribile dramma.

Fabio Ravezzani CORONAVIRUS-MALPENSA24