Gli 80 anni di Vaccaro, grande artista un po’ dimenticato dalla sua Legnano

legnano arte andrea vaccaro

LEGNANO – Gli 80 anni li ha compiuti in questo torrido mese di luglio, nella sua casa in centro a Legnano. Quadri e disegni tappezzano ogni metro di parete, le sculture come soprammobili, un cavalletto davanti alla finestra del salotto. Andrea Vaccaro da un anno non dipinge più, le sue condizioni di salute non glielo permettono. Lo assiste amorevolmente la moglie, che l’ha accompagnato lungo tutto il suo percorso creativo, che coincide con la stessa vita. Era ancora bambino, Vaccaro, quando riempiva fogli su fogli di disegni, sorprendentemente precisi e penetranti, con tanto di commenti: segno prematuro di un talento innato e sorta di diario personale per immagini, ma anche le opere di cui va più orgoglioso. La sua prima mostra, ricordano le biografie, la allestì appena 15enne al liceo scientifico che frequentava a Legnano: uno di quei quadri, nonostante le offerte ricevute, fa tuttora bella mostra di sé nell’ingresso di casa.

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«L’arte? Un’amante gelosa, non ammette altro»

«È una questione di nascita» ci dice, a conferma che artisti di talento non si può diventare. Del resto, le enciclopedie citano un altro artista, suo omonimo, nella Napoli del Seicento: un avo lontano nel tempo e nello spazio? Chissà. Fatto sta che la famiglia non ne assecondò la vocazione e solo a trent’anni Andrea Vaccaro decise di dedicarsi totalmente alla pittura. «L’arte è un’amante gelosa» ama ripetere, a significare che non ci si può dedicare ad altro. «Da allora ho fatto tutto senza rifletterci troppo, d’istinto. Sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto in questo lungo arco della vita. Avrò fatto anche errori, ma solo dandosi da fare si può sbagliare. Soprattutto, sono sicuro di me stesso». Niente da rinnegare, dunque. Come aver partecipato a mostre presso gli istituti italiani di cultura all’estero: un veicolo di riconoscimenti internazionali, ma con cui non si realizzano soldi. Ecco, i soldi. «Oggi l’arte si pensa sia solo uno strumento per fare denaro. Invece dovrebbe essere per tutti, anche per educare le nuove generazioni». E qui l’artista si toglie qualche sassolino dalle scarpe.

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Frecciate a enti pubblici, critica e mecenati

«L’arte non è tagliare una tela, impacchettare monumenti, Piero Manzoni con le sue scatolette piene di quella cosa lì o il dito medio davanti alla Borsa di Milano. Eppure tutte queste cose sono state comprate e pagate, anche da enti pubblici. Che dovrebbero piuttosto investire sui talenti emergenti». Gli stessi artisti, però, dovrebbero essere più gelosi delle proprie idee e tecniche. «Perché un artista deve fare male le cose per seguire le direttive dei critici che gli dicono che cosa è arte? I critici d’arte sono tutti prezzolati. Da giovane ho lavorato in esclusiva per la galleria Italianarte di due industriali locali a Busto Arsizio. Ero pieno di entusiasmo, poi mi sono reso conto che mi sfruttavano e ho preferito lasciare, perché mi chiedevano quadri a loro scelta, non mia».

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«Con la mia città un rapporto tormentoso»

Non proprio riuscito il suo rapporto con Legnano, dove pure vive e lavora da sempre. «È stato un po’ difficile, poteva andare meglio. Parlo sia a livello di rapporti con le persone, sia di comunicazione. C’è sempre l’impressione, quando invito una persona a casa, che ci sia di fondo un vincolo a comprare una delle mie opere: non è così. Ed è stato difficile anche con i quotidiani locali. Ho ricevuto più riscontri altrove, perfino all’estero. La parola giusta è: un rapporto tormentoso, a partire dai giornali». Che cosa direbbe a un giovane che volesse seguire le sue orme? «Provare a dipingere non è una cosa semplice. Prima di tutto bisogna fare tanta pratica nel disegnare. Il disegno è come l’impalcatura per una casa, ci vuole una base solida su cui poi lavorare con i colori. Se no, si finisce come quella persona che a una mostra mi disse che preferiva fare arte astratta perché con quella figurativa non era capace».

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