La notte che andammo oltre il cielo

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, forse fin da quando l’uomo ha alzato gli occhi alla volta celeste ed ha visto l’immensità del creato, forse fin da quando ha visto l’abbagliante luce del sole, forse fin da quando ha subito il fascino straordinario della luce argentata della luna di notte, forse fin da subito ha desiderato di lanciarsi nel cielo, di andare oltre e toccare l’infinito. Non so se ricordate una delle scene iniziali dell’incredibile (per allora) film di Kubrik “2001 Odissea nello spazio” del 1968, quando la scimmia alza un osso che diventa un attrezzo ed inizia così il cammino verso questa civiltà, quando viene illuminata dalla luce del sole che sale dietro il monolite, ebbene forse la scimmia ha alzato lo sguardo e ha visto le stelle e non ha saputo resistere al loro fascino. Forse proprio allora è iniziata l’avventura dell’uomo.

Cari amici vicini e lontani, non so voi ma io negli anni ’60 ero imbevuto di una robusta letteratura fantascientifica anglosassone e avevo pensieri che vagavano allegri attraverso spazi siderali e pianeti lontani anni luce. Leggevo con passione una rivista di aeronautica “Oltre il cielo” che aveva visto la luce nel settembre del ’57. Pubblicato dalla Editrice “esse” di Roma, aveva come direttore Armando Silvestri e come direttore responsabile Cesare Falessi.

Nell’era dei razzi, era il proseguimento ideale di altre modeste pubblicazioni di genere e costava 100 lire. Comparivano articoli di astronautica, astronomia, missili e razzi e anche la narrativa fantascientifica aveva largo spazio. Erano felicemente presenti moltissimi scrittori italiani, in genere sotto pseudonimo, molti dei quali avrebbero avuto una vita letteraria. In questo siamo stati per lungo tempo molto provinciali. Abbondantemente illustrata con foto e disegni, la copertina molto bella del primo numero fu di Curt Caesar , presente in pressoché tutte le iniziative fantascientiche del tempo. In quasi quindici anni di vita la rivista pubblicò 475 racconti e 12 romanzi a puntate di oltre cento autori italiani – anche con i loro veri nomi – formando due generazioni di lettori, critici e scrittori.

Mi piace ricordare che alla rivista collaborò anche Peter Kolosimo (al secolo Pier Domenico Colosimo), che teneva una rubrica fissa in cui esponeva le basi di quelle teorie di ” archeologia spaziale ” che avrebbe poi sviluppato nei suoi numerosi best seller tradotti e pubblicati in tutto il mondo, facendone uno degli scrittori italiani più conosciuti all’estero negli anni sessanta e settanta.

Vi racconto tutto ciò per contribuire a sottolineare come l’ansia del tempo per quella che fu definita “la corsa allo spazio” era diffusa e molto sentita in forma ovviamente diversa ma comunque intensa in larga parte della società. Certamente per il sottoscritto fu un’epoca straordinaria, quasi un’ossessione personale, nella quale i sogni degli uomini apparvero tutti possibili. Venere, Marte, Giove e ancora più lontano Alpha Centauri, tutto sembrò per un momento a portata di mano, se mi permettete l’iperbole. Il 20 luglio 1969, alle venti, diciassette minuti e trentanove secondi sull’orologio del tempo universale, l’avventura divenne una realtà formidabile.

Come accenna Marcello Veneziani, il futuro venne in una notte di plenilunio. Il 21 luglio 1969, avevo 23 anni e in una notte di mezza estate il futuro bussò alla porta dell’uomo e non chiese il permesso per entrare. Una notte magica dove le stelle apparvero in tutto il loro splendore, dove la Luna diventò la terra promessa, dove si fantasticò di abitare su Marte, dove lo spazio ci sembrò amico (non lo è per nulla, ma lo imparammo dopo). Quando Neil Armstrong toccò il suolo lunare, il piccolo passo di un uomo, il grande passo per l’umanità, uno strano formicolio attraversò la mia gamba fino al piede e per un attimo fui anch’io trasportato nell’Isola che non c’è. Ricordo con
malinconia gli occhialoni di Tito Stagno e fui rapito dalla sua telecronaca. Come molti altri, anch’io toccai il terreno alieno. Ho detto malinconia, si perché la giovinezza esaltava il mio spirito libero e andare fra le stelle mi parve l’inevitabile destino dell’umanità. Poi tornammo sulla Terra e non fu così e lo scrivo con un sospiro.

Credo giusto e doveroso ricordare e celebrare questo avvenimento, certamente unico e straordinario nella storia dell’umanità. Brindate con la famiglia, con le persone care, con gli amici, alzate un calice al cielo, abbiate parole buone per tutti e siate felici per la vostra storia. Io continuo ad essere ossessionato fra arte e scienza e quindi sabato sera ascolterò le meravigliose e per me significative note del “Chiaro di Luna” di Ludwig van Beethoven che rimbalzeranno liete nel chiarore notturno e rileggerò il magnifico Leopardi:
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa Luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
………
… Dimmi ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Cari amici vicini e lontani, nell’augurarvi una serata memorabile vi invito volentieri a non dimenticare quella notte oltre il cielo.

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