Lo stalker al giudice: «Il mio sogno? Sposare Lara Comi»

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Lara Comi

BUSTO ARSIZIO – «Sposarla era il mio sogno, ho espresso forse in maniera eccessiva e cialtronesca i miei sentimenti, ma non c’è mai stata da parte mia la volontà di minacciare. Volevo farle capire che ci tenevo». Ha parlato oggi pomeriggio, giovedì 28 giugno, in aula a Busto Arsizio, Giovanni Bernardini, imprenditore di Jesolo, ex candidato sindaco della città veneta. A processo per stalking contro Lara Comi, eurodeputata saronnese di Forza Italia. Anche oggi, davanti al giudice di Busto Valeria Recaneschi, non ha nascosto i propri sentimenti verso la parlamentare vice presidente del Ppe. Il suo stalker era finito in manette lo scorso 22 settembre quando si era assiepato sugli spalti dello stadio di Lecco assistendo a una partita benefica, contro la violenza sulle donne. C’erano diverse parlamentari, ma i suoi occhi erano tutti per il capitano della squadra, l’onorevole Lara Comi. La donna per la quale aveva perso la testa. L’europarlamentare di Forza Italia per due anni, almeno, ha convissuto con l’incubo delle insistenti molestie, i focosi corteggiamenti del presunto stalker.

Colpo di fulmine alla tv

«La prima volta che l’ho vista era in Tv – ha raccontato Bernardini – poi la incontrai di persona a Rimini. Il recapito telefonico me lo ha lasciato proprio lei. Appena l’ho vista in televisione, ho provato una simpatia istintiva. Le chiesi l’amicizia su Facebook e me la concesse. Parlavamo di tutto, di agricoltura, politica, calcio. Stavamo discutendo della possibilità di organizzare un incontro sulla problematica delle concessioni balneari».
Le contestazioni in tribunale partono dal gennaio del 2017, anche se già nel 2013 l’imputato aveva iniziato a corteggiare in maniera un po’ insistente la Comi. Le consegnò dei mazzi di fiori tra San Valentino e il compleanno, ma la Comi fece capire fin da subito che non c’erano possibilità per avviare una relazione sentimentale. «Andai in pellegrinaggio a Medjugorie a dicembre del 2016 – ha raccontato – e avevo iniziato a riflettere sulla mia esistenza. Mi ero detto che avrei voluto una svolta dal punto di vista affettivo. Avrei voluto creare una famiglia e ho pensato subito alla Comi. L’avevo chiamata al telefono, ma lei fu categorica. Io provai a insistere. Volevo farle capire che ci tenevo».

«Al cuore non si comanda»

Non si arrese, peggiorando la propria situazione: «Ho continuato a insistere – ha aggiunto in aula – perchè al cuore non si comanda: i sentimenti viaggiano su altri piani. Il carcere fu una misura eccessiva: scrissi una lettera di scuse, anche perchè speravo di uscire. Ma ero pronto ad andare in carcere: anche Gesù ha patito la croce». Il giudice ha disposto una nuova perizia psichiatrica per valutare se l’imputato è capace di intendere e volere. Per la sentenza si andrà per le lunghe.

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