Giornalismo da export, l’avventura di Sandro

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Alessandro Casarin

di Massimo Lodi

Ci gusta il racconto dei successi “extra moenia” d’esponenti locali, e dunque vale segnalare che l’assegnazione delle cariche informative Rai premia un giornalista varesino, riconfermandolo nel ruolo: direttore della Tgr, ovvero responsabile di tutte le testate regionali. È Sandro Casarin, originario di Somma Lombardo, gl’inizi sullo storico quotidiano La Prealpina, poi il trasloco nell’ente radiotelevisivo di Stato, e da qui in avanti la gratificante carriera.

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Massimo Lodi

Lo conobbi quand’era poco più d’un ragazzo, preso dalla passione cronachistica, voglioso d’apprendere, disposto a sacrificare il tempo libero per il lavoro. La tenacia e l’umiltà gli permisero l’ingresso, tramite dura gavetta, in un mondo talvolta inospitale verso chi bussa, e col quale Sandro fece presto a familiarizzare. Le simpatie socialiste ereditate in famiglia assieme al tifo per l’Inter lo accostarono al Psi, che gli fu compagno di viaggio – una volta lasciata la ridotta provinciale – nel percorso d’approdo alla Rai. L’itinerario successivo si deve al suo talento. Se ne fosse stato privo, non avrebbe goduto della fiducia che un editore, pubblico o privato che sia, ti concede/rinnova non perché sei fedele, ma perché sei bravo. A lungo andare, la prima condizione risulta insufficiente qualora manchi la seconda. L’andare di Casarin è stato lunghissimo. E tanto basta.

Aggiungo che il crescere del rango redazionale non gli ha fatto smarrire semplicità e tratto umano. Per quanto ne so, era d’una pasta e di quella è rimasto. Posso scriverlo, dovendogli io nulla e lui idem a me, pur con l’avvertenza curiosa che né lo sento né lo vedo da indecifrabile tempo. Particolare tuttavia rivelatore del disinteresse di questa nota sentimentale e rivendicativa insieme.

La seconda ragione che l’ispira è infatti il torto di cui soffre il giornalismo periferico, giudicato spesso un’arte minore. Un mestiere di ripiego. Una funzione marginale. Come (e banalmente) in ogni settore, qui c’è del buono e del meno buono. Quando c’è e arriva al top, merita la medesima attenzione rivolta al resto d’un piccolo mondo antico che guadagni la grandezza. Non si tratta d’una eccezione figlia dell’orgoglio d’appartenenza professionale, ma dell’osservanza d’una regola egualitaria nel dare le notizie. Se il giornalismo rientra fra i nostri prodotti da export, ci deve importare di darne conto. Oppure no?

Ps. È singolare che i partiti, restii a metter mano a una riforma radicalmente pluralista del servizio pubblico, volteggino le mani in segno di protesta nel caso in cui l’attribuzione delle mansioni li penalizzi. Quando si dice la credibilità.

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