Malpensa 2000 vent’anni dopo e nessun brindisi

Vent’anni di Malpensa Duemila, 25 ottobre del 1998. Bisognerebbe brindare, ma forse non è il caso. Compleanno da passare sottotraccia non certo o non tanto per evitare di risvegliare la suscettibilità dei cosiddetti antimalpensisti, che sono sempre tanti e a volte, specie sul versante politico, mossi da motivazioni strumentali e interessate; quanto perché le vicende dello scalo gallaratese, varesino, bustocco, milanese o di chi se lo vuole intestare rappresentano la quintessenza di un modello solo italiano di affrontare e lasciare irrisolte anche le faccende più importanti; per poi rivendicare presunti e inesistenti meriti quando, per le spinte esterne del mercato e per scelte aziendali oculate, tornano sulla cresta dell’onda. E viaggiano verso mete economiche, sociali e occupazionali impensabili fino a qualche anno fa. Quando Malpensa era data per defunta a causa dell’eutanasia imposta all’aeroporto dalla politica romano-centrica, contigua e colpevole del disastro di Alitalia, doppiogiochista e, soprattutto, incapace per fini elettorali di bilanciare le esigenze di Fiumicino, Linate e, appunto, Malpensa. Ce li ricordiamo bene certi passaggi di questo o quel partito, di questo o quell’esponente politico. Chiacchiere e distintivo, ci verrebbe da scrivere per citare un inarrivabile Robert De Niro.

Acqua passata? Può essere, benché quell’acqua abbia causato un’infinità di problemi fin dal concepimento dello scalo del Duemila: gli inciampi amministrativi e burocratici consegnarono un terminal già vecchio in termini progettuali; con le compagnie aeree cocciutamente indisponibili ad abbandonare Linate, con i governi di allora abili nel traccheggio, pavidi nell’assumere decisioni definitive. Burlando, D’Alema, Bersani, Lupi sono nomi legati ad altrettanti decreti su Malpensa. Poi Berlusconi e Bossi. Poi la serie di coloro i quali hanno dominato nel primo decennio del nuovo millennio, fino al de-hubbing della compagnia di bandiera per arrivare alla ritrovata impennata di traffico, passeggeri e merci di questi ultimi mesi.

E adesso non mettiamo limiti al futuro, benché lo sviluppo vada gestito con sagacia per evitare che a pagare un ulteriore prezzo ambientale sia il territorio. Perché gli effetti indotti negativi ci sono stati e ci saranno, sarebbe ignobile negarlo. Ma siccome non si può fermare la crescita del traffico aereo, né quella di Malpensa, cerchiamo perlomeno di ricavarne benefici, dato per assodato che l’aeroporto c’è e non si cancella.

Qui torna in scena la politica, la sua disponibilità a studiare soluzioni sostenibili, indirizzando i gestori dello scalo su linee percorribili e accettabili. Ma la politica, questa nuova politica, ne sarà all’altezza? Ciascuno lavora per sé: il Comune di Milano, innanzitutto, padre padrone di Sea, i Comuni del sedime aeroportuale, gli enti collaterali allo scalo, il governo, la Regione, le Province , le associazioni pro e contro, chi ci crede e chi fa finta di crederci, chi non ci crede. Vent’anni dopo siamo più o meno nella stessa condizione di confusione, privi di una chiara visione. Con la differenza che in quei giorni, nonostante il black out dello smistamento bagagli, i ritardi catastrofici negli arrivi e nelle partenze, gli aerei che si incollavano alla pista a causa di una resina sbagliata, le derisioni degli stranieri che ci osservavano divertiti e perplessi, c’era l’entusiasmo generato da una grande, imperdibile opportunità. Voluta – diamo merito all’orgoglio e alla retorica bustocca – da un gruppo di industriali locali settant’anni fa esatti, sfruttata da Milano che volle fare di Malpensa il suo aeroporto.

Un’opportunità che oggi è una straordinaria realtà, a cui guardare con consapevolezza e, appunto, realismo. La stessa consapevolezza e lo stesso realismo che ci inducono per il momento a conservare in frigorifero lo champagne. Anche solo per scaramanzia.

Malpensa venti anni – MALPENSA24