“Sua mamma è in quarantena”. Ma lo dicono con 23 giorni di ritardo. Ed è già deceduta

La storia triste di M.B. classe 1927, che ci lascia ai tempi del covid

E’ una storia che ha dell’inverosimile. E che, nella tragicità e nel dolore, fa sorgere parecchi interrogativi sulla gestione delle emergenze. E’ la storia di M.B. di Gallarate, classe 1927, mamma di un caro amico. Ecco la storia, e fate attenzione alle date.

Il 23 marzo M.B. viene ricoverata in ospedale a Gallarate per una crisi cardio-respiratoria, nulla a che vedere con il covid, infatti durante tutta la degenza non presenta alcuna sintomatologia infettiva. Il 6 aprile viene dimessa e le viene assegnata un’ottima assistenza domiciliare da parte del reparto Unità Cure Palliative dell’azienda sanitaria di Busto Arsizio.

“Il 16 aprile – ci racconta il figlio – ricevo telefonata da parte dell’ATS Insubria che mi comunica che durante la degenza mamma avrebbe avuto un contatto covid in ospedale. Il giorno stesso le viene eseguito un tampone a domicilio da parte dell’Ospedale di Busto in accordo con l’ATS. Il 23 aprile, dopo infiniti solleciti, riesco a mettere in contatto l’Ospedale di Busto con il Laboratorio analisi del Policlinico che processa le analisi sui tamponi covid riuscendo così a scoprire che il Policlinico aveva inviato l’esito all’Ospedale di Gallarate. Alla fine scopro su mia iniziativa che l’esito del tampone è purtroppo positivo. Nel frattempo la mamma si aggrava a causa dei problemi cardiaci, la ricoveriamo a Busto. E il 25 aprile mamma ci lascia”.

Fin qui, seppur nel dolore per la perdita della mamma, nulla – o quasi – da eccepire, salvo il fatto che ci si ammala di covid negli ospedali. La dimensione surreale di questa storia emerge il 29 aprile, quattro giorni dopo: “Nel pomeriggio – spiega il figlio – ricevo per email il certificato dell’ATS di avvio quarantena per la mamma, datato 28 aprile: peccato che la mamma era morta da 4 giorni. Ma la cosa allucinante è che il certificato – ripeto datato 28 aprile – stabiliva che mia mamma avrebbe dovuto fare la quarantena dal 6 al 19 aprile. Cioè prima che ci venisse comunicato”.

Ma come si fa a informare qualcuno che deve fare una quarantena retroattiva? Come è possibile che ti comunicino ufficialmente oggi che dovevi fare quarantena 23 giorni prima e dovevi averla terminata già da 9 giorni? E nel frattempo magari hai avuto contatti con i familiari in casa. Probabilmente infettandoli.

Un caso tanto paradigmatico quanto surreale, che fa riflettere sul fatto che forse – e diciamo forse – la diffusione del covid in Italia non è solo colpa del comportamento superficiale dei cittadini, continuamente additati da sindaci, amministratori e governanti come untori. Di fronte a un caso come quello di M.B. vengono in mente i quad con cui la polizia ha compiuto il blitz in spiaggia per blindare il tizio che prendeva il sole, la caccia con elicotteri e motovedette all’altro tizio che passeggiava in riva al mare con il cane (ben lontano dai 200 metri ammessi rispetto all’abitazione), il corpo forestale che misura la distanza di una mamma con il bambino nel bosco, rispetto all’abitazione lì accanto. Quando il cittadino sbaglia, va sanzionato. Ma quali provvedimenti prenderanno le istituzioni contro se stesse, di fronte a casi come quello di M.B.? E va considerato che il personale amministrativo delle ATS, in questa emergenza sanitaria, si è prodigato – nonostante le risorse limitate – al pari dei medici. La responsabilità quindi non deve cadere sul singolo operatore, ma sul sistema della sanità pubblica, che ha bisogno di parecchi correttivi.

“Il destino di mamma era probabilmente già segnato dalla crisi cardiaca del 23 marzo” commenta amaramente il figlio “e nessuno di questi ritardi ha in alcun modo causato il doloroso epilogo, ma mi sorge una domanda: se l’infettato fosse stato un giovane lavoratore in attività dal 6 di aprile, e non una signora di 93 anni ormai allettata, quali danni avrebbe potuto causare? Se una persona infrange la quarantena e circola va incontro a pesanti sanzioni amministrative e penali, e se un’istituzione preposta alla nostra tutela comunica l’avvio di quarantena con 23 giorni di ritardo cosa succede?”.

Con una buona dose di senso civico, vogliamo pensare che quello di M.B. sia stato un caso unico, isolato. Una “svista” del sistema. O no?