VISTO&RIVISTO Una storia universale sulla fragilità ancestrale della famiglia

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di Andrea Minchella

VISTO

GLI INDIFFERENTI, di Leonardo Guerra Seràgnoli (Italia-Francia 2020, 81min., Sky Cinema).

Prima del film il libro. Molto prima. 1929. Il giovane Alberto Moravia scrive il suo primo romanzo. Che lo consacra e lo trasforma in uno dei più potenti e crudi autori del novecento. Moravia scrive della borghesia e della sua perdita di valori. Scrive di un’Italia, quella degli anni venti e trenta, lacerata da una crisi sociale ed economica senza precedenti. Moravia ci racconta in maniera accurata e spudorata di come l’essere umano sia capace di qualsiasi cosa pur di non perdere posizione sociale all’interno della disumana e rigida piramide della ricchezza e del potere. Un ritratto, quello de “Gli Indifferenti”, che lascia senza scampo tutti quelli che si riconoscono, se ne hanno il coraggio di farlo, nei personaggi raccontati e analizzati dallo scrittore romano.

Quasi cento anni dopo un giovane regista ci narra di nuovo quella storia. E, al di là del contesto storico, può farlo senza cambiare molto del romanzo di Moravia. Perché quella vicenda è una vicenda universale, che caratterizza tutte le famiglie della società moderna. Se nel romanzo di Moravia a fare da sfondo c’è l’Italia in pieno fascismo, l’Italia raccontata dal bravo Guerra Seràgnoli è l’Italia di oggi, disgregata e attraversata profondamente da una crisi di valori che sta mettendo a dura prova anche l’istituzione più antica e forte dell’uomo: la famiglia. Sì, perché, anche il giovane regista romano, grazie all’intuizione e alla penetrante analisi di Moravia, riesce a dipingere in maniera sconcertante e dissacrante una normale famiglia romana che calpesta i propri principi e sgretola i propri valori pur di assicurarsi la posizione sociale che detiene e che non vuole abbandonare per nessuna ragione.

L’ostinata miopia, dolce e folle allo stesso tempo, della bella Maria Grazia, qui interpretata da una sempre più realistica Valeria Bruni Tedeschi, fa sobbalzare chiunque abbia ancora nel cuore un po’ di amor proprio. Il losco e ripugnante Leo, ruolo perfetto per il bravissimo Edoardo Pesce, fa venire il voltastomaco anche agli spettatori più preparati e navigati: la descrizione capillare e minuziosa che ne fa Moravia nel suo romanzo viene ripresa con intelligenza e fedeltà dal regista che scolpisce, in Pesce, un nauseante e disgustoso “uomo” di casa. In realtà l’uomo, dietro le sue attenzioni morbose e eccessivamente plastiche, nasconde il vero intento dell’interesse verso la famiglia Ardengo e verso lo splendido attico che abitano. I più avulsi alle dinamiche vertiginose e asfissianti della crisi in atto sono i due figli di Maria Grazia, Carla e Michele, che però non riescono a ribellarsi completamente alla deriva a cui stanno andando incontro. La voglia di emanciparsi dalla presenza ingombrante e sgradevole di Leo è forte, ma il germe dell’indifferenza può essere più forte e più subdolo.

Il cast si completa con la presenza preziosa e avvolgente della brava Giovanna Mezzogiorno che, con la sua malinconia e con la sua dolcezza, porta sempre il racconto ad un livello poetico superiore.

Nel 1964 Maselli realizzò un film tratto dallo stesso romanzo: con una Claudia Cardinale incantevole, la pellicola scontava il fatto di essere realizzato in un contesto storico troppo diverso da quello in cui fu scritto, e non certo così angusto e lacerato come quello di oggi, in cui il racconto di Seràgnoli si incastra perfettamente.

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RIVISTO

FESTEN-FESTA IN FAMIGLIA, di Thomas Vinterberg (The Celebration, Danimarca 1998, 104 min.).

La rivoluzione del linguaggio e dello stile. Dogma 95 fu un movimento che coinvolse diversi registi. Vinterberg confezionò questo suo “Festen” seguendo le regole del manifesto: camera in spalla, niente luci né musica. Questo bastava per rendere una storia già dirompente, come quella di “Festen”, in uno dei più crudi e dissacranti racconti degli ultimi anni.

Nella candida e bianca Danimarca si svolge una grande riunione di famiglia a cui partecipano i tanti componenti della ricca famiglia Klingenfeldt per festeggiare il compleanno di Helge, il capostipite. Durante la lunga e chiassosa cena il primogenito, Christian, prende la parola per il classico discorso d’elogio ma anziché tessere lodi e raccontare buffi aneddoti, racconta di come il padre, quando lui e la sorella erano piccoli, abusava di loro ripetutamente. Il regista danese scruta e seziona le anime dei protagonisti in un racconto teso ed essenziale che ci catapulta in uno dei drammi più profondi e devastanti mai raccontati in un film. Da ritrovare e da rivedere per un’esperienza sempre toccante e viscerale.

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