VISTO&RIVISTO Un necessario e potente atto d’amore per il teatro moderno

minchella martone scarpetta

di Andrea Minchella

VISTO

QUI RIDO IO, di Mario Martone (Italia- Spagna 2021, 133 min.).

Un’opera sincera sul teatro. Un’opera appassionata sull’arte. Un’opera intensa sulla paternità biologica ed artistica. Un’opera chiara sul plagio e sulla parodia. Un’opera mastodontica sul concetto di brutto, di bello, sul significato di vero e di falso, su ciò che può essere definito legittimo e su ciò che deve essere definito illegittimo.

Insomma Mario Martone crea un ritratto complesso e unico su di una delle figure più influenti della drammaturgia degli ultimi centocinquant’anni. Eduardo Scarpetta, di cui molti sanno poco, ha scritto e recitato tantissimo a cavallo tra i due secoli scorsi, fornendo all’umanità alcuni tra i più riusciti e completi resoconti dell’Italia di quegli anni. Le sue opere teatrali, infatti, fissano perfettamente, nelle ambientazioni e nei dialoghi, tutte le sfumature di un’Italia, quella del Sud soprattutto, che stava per finire, con le sue contraddizioni e le sue croniche ed inique differenze sociali, nel primo conflitto mondiale.

Ma Martone fa di più. Ci racconta di come l’artista e l’uomo siano la stessa persona, e di come i suoi lineamenti si confondono continuamente dando origine, così, alla leggenda del grande commediografo. Padre artistico della maschera Felice Sciosciammocca, che doveva mandare in pensione per sempre l’antica maschera di Pulcinella, Eduardo Scarpetta scrive della società che lo circonda, scrive del popolo e per il popolo. I teatri in cui va in scena sono sempre pieni, e il successo territoriale sembra un successo universale. Perché universale è il mondo che racconta. Universali sono i suoi personaggi ed il linguaggio che usa. Una sorta di Shakespeare italiano, Scarpetta darà alla luce decine di commedie che intarsiano nelle coscienze degli spettatori tutte le tipologie di situazioni e di personaggi che appartengono all’Italia del Sud di fine ottocento, in cui la nobiltà e la povertà erano gli opposti che spesso si trovavano costretti a convivere per necessità. Scarpetta non fa altro che fotografare le contraddizioni e le stranezze che erano alla base della vita quotidiana del popolo e dei suoi elementi, che poi riempivano i suoi teatri.

Questa bulimia creativa di Scarpetta interessa anche la sua vita privata. Circondato da una famiglia molto allargata, l’autore napoletano si circondò di moglie, amanti, figli legittimi ed illegittimi. Martone racconta con poetica schiettezza la complessità dei rapporti che si vivevano all’interno della famiglia Scarpetta. Eduardo intendeva “imporre” la sua paternità nei confronti di tutti. A tutti dava qualcosa in cambio, ma pretendeva rispetto ed ossequiosa sottomissione. Egocentrico e narciso, Scarpetta si scontrerà con l’arte vicina al “Potere”, quella di D’Annunzio, per esempio, il quale non gradirà la parodia che l’autore napoletano fece del suo “Figlio di Iorio”. E proprio la contrapposizione tra la parodia di Scarpetta e il presunto plagio, che D’Annunzio crede di aver subito, diventa materia di una lunga, retorica e surreale battaglia legale che metterà in luce due visioni diverse di fare teatro e di raccontare il mondo circostante. Seppur vincitore, Scarpetta, a cui viene riconosciuto il diritto di parodizzare senza commettere reato una qualsiasi opera teatrale, decide di ritirarsi per sempre dalle scene, lasciando in eredità, soprattutto ai tre figli illegittimi De Filippo, tutta la sua produzione artistica e il suo talento innato che lo resero immortale. Proprio il figlio Eduardo, nel teatro, e i figli Peppino e Titina, nel cinema, porteranno avanti, rielaborandoli e mitizzandoli, tutti gli elementi artistici che avevano reso immortale ed universale la gigantesca eredità di scritti del padre Eduardo.

Martone incorona Servillo dandogli il ruolo più importante della sua carriera. Servillo è Eduardo Scarpetta. Anche a discapito del grande cast che circonda il sublime attore e che rafforza l’intera narrazione.

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RIVISTO

IL DIVO, di Paolo Sorrentino (Italia- Francia 2008, 110min.).

Servillo si mette a disposizione del visionario Sorrentino. Il risultato è grandioso e irriverente. Il regista premio Oscar realizza un attento e sincero ritratto di un’Italia che non c’è più. L’Italia in cui la politica faceva ogni cosa pur di assicurarsi la pace interna.

L’Italia in cui i grandi politici, come Andreotti, trasformavano la loro riservatezza nella rassicurante e terapeutica capacità di prendere decisioni chiare e necessarie. Attuale e moderno come tutte le opere di Paolo Sorrentino. Il giudizio su Andreotti rimane sospeso tra sequenze oniriche e personaggi surreali.

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