Nel villaggio di Asterix si salva soltanto Draghi

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di Gian Franco Bottini

Draghi se ne vuole andare, Mattarella “fa orecchie da mercante” ma pensiamo che anche lui sappia che l’Uomo è “tutto di un pezzo” e non ci sarebbe da stupirsi se stesse già gonfiando il canotto per le vacanze con la sua signora. La vicenda è oramai ben nota, ma francamente nemmeno noi bustocchi, pur da anni avvezzi a litigar sull’ “inceneritore”, potevamo pensare che il tema, in salsa romana, potesse causare un simile cataclisma nazionale.

Da qui a mercoledì, quando in Parlamento si conoscerà la conclusione della vicenda, se ne diranno di tutti i  colori, alla caccia delle giustificazioni e delle responsabilità. A tal proposito però, ci pare che una cosa non venga  evidenziata quanto merita. Se la memoria non ci tradisce, mai è successo nella nostra storia repubblicana che un premier si dimettesse dopo aver ricevuto una convincente “fiducia” da una larghissima maggioranza parlamentare. Abbiamo sempre visto Presidenti del Consiglio aggrapparsi alla loro  poltrona  e per difenderla ricercare indecenti alleanze, “scilipuotare” disponibili voti “a buon prezzo”, farsi ricattare da inconsistenti gruppi di parlamentari “peones”, reingoiarsi conclamate sicurezze.

Draghi non lo ha fatto e, cambiando le regole del gioco, ha dato un potente schiaffo a tutto il sistema politico  del Paese.

Draghi, un italiano di valore ed avulso dalla accozzaglia partitica, ha, in un periodo emergenziale,  accettato la responsabilità  di fare delle cose “certe”, entro  un periodo “certo”, con il sostegno e la “fiducia” di un perimetro partitico“ certo”. Qualcosa è cambiato e, malgrado conservi la fiducia maggioritaria, lui non ci sta più;  un vero sconquasso nelle liturgie “aggiusterecce” della nostra politica, tale da far “meritare” all’Uomo  l’epiteto di “capriccioso”, curiosamente da parte di un notissimo giornalista, megafono pentastellato, uno di quelli che volevano cambiare il mondo.

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Gian Franco Bottini

Tralasciamo il capitolo delle colpe e delle responsabilità, delle quale i nostri giornali e televisori già strabordano. Troppo facile sarebbe puntare il dito sulle “brancaleonesche” incapacità di Conte nel gestire un partito allo squaglio, sulle ambigue e  fastidiose punzecchiature di un frustrato Salvini o sulle  irrefrenabili abitudini di Letta e dei suoi nel buttare sul tavolo parlamentare argomenti divisivi ed identitari, assai stonati rispetto alle tragiche necessità del momento. Ma pur volendo restarne  fuori non possiamo ipocritamente rinunciare a denunciare un’ altra grande responsabilità ,che sta alla base di ciò che sta accadendo e della quale si tende a non parlarne mai: la nostra responsabilità. Quella di noi di cittadini elettori, che per la nostra metà rinunciamo al dovere, oltre che diritto, di pensare, riflettere e  scegliere oculatamente, con il nostro voto, i nostri governanti.

Quella di noi, cittadini elettori, che anche quando esercitiamo il nostro diritto, in larga misura lo facciamo con la superficialità di scegliere chi, in quel momento, sa alzare la voce e “far cinema” più di altri, chi ci promette con accattivante leggerezza l’Eden che ci piace sognare. Le scelte di un momento di rabbia o leggerezza, se sbagliate, lasceranno il segno per decenni sulla nostra vita, spesso con un difficile ritorno.

La crisi di oggi viene da lontano e Draghi, con le sue dimissioni, oltre che alla politica, ha tirato uno schiaffo anche a tutti noi.

Adesso il futuro è nebuloso, le difficoltà sono grandi e pensiamo sia chiaro a tutti che possono essere affrontate solo in “campo largo” (non quello nostrano, probabilmente già disciolto, ma quello internazionale). Si chiedeva a Draghi di elevare il nostro profilo internazionale e difficile dire che, in virtù della sua credibilità, storia, rapporti, capacità etc., lui non lo abbia fatto. Con la sua  minacciata uscita di scena il mondo occidentale si stupisce, quell’altro mondo gioisce, ma per noi il problema è più concreto : chi potrebbe rapidamente sostituirlo  senza “perdere campo”?

Andremo democraticamente a votare, e se come si dice vincerà il centro destra, se smetterà di farsi le scarpe a vicenda, ritorneremo al  vecchio teatrino delle ambizioni personali: Meloni o Salvini? Dovremmo giocare “in campo largo” proprio con  due personaggi fra i più “sovranisti” d’Europa, maestri nel predicare  il “campo stretto”, quasi l’Italia fosse il villaggio di Asterix. Con il dovuto rispetto per ambedue, difficile trovare in loro credibilità, storia, rapporti e alleanze necessari alla bisogna.

Purtroppo con le dimissioni di Draghi gli alleati europei ci hanno ”sgamato” su un problema che , comunque vadano le cose, se non ora fra meno di un anno l’Italia presenterà loro. L’”alert” è scattato e il danno è fatto.

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