Cronaca di un disastro annunciato – Parte terza

novik riforma giustizia

di Adet Toni Novik

Lo vuole l’Europa. Con questa affermazione hanno visto la luce provvedimenti che altrimenti nessuna forza politica sarebbe stata in grado di approvare. Ma, un popolo di santi, poeti e navigatori, non poteva non trovare una propria strada, originale e fantasiosa. Se sul pannello di controllo dell’auto si accende la spia rossa di allarme, l’uomo della stradi si affanna a trovare e riparare il guasto. Il legiferatore nostrano non perde tempo e rompe la spia. Così, quando la Cedu sanzionò l’Italia per il sovrappopolamento carcerario e indicò che ogni detenuto doveva avere nella cella uno spazio di movimento libero non inferiore a 3 metri quadrati (in Italia la popolazione carceraria ad oggi è di 53.637 persone contro una capienza regolamentare di 50.779 posti; negli USA è di 1.540.000), la via italiana non fu, come sarebbe stato logico, la costruzione di nuove carceri per aumentare la capienza, ma quella di rendere più difficile la detenzione, limitando la custodia cautelare preventiva e allargando le misure premiali per le altre. Trascurando però che l’unico vero deterrente per la criminalità è il carcere. Disse un trafficante di droga: per noi, la paura è la cattura preventiva, passata quella tutto si aggiusta. E che dire delle misure alternative per i condannati definitivi: la rieducazione è un grande obiettivo, ma… attenzione, la finalità di rieducazione non può essere il pretesto per ritornare libero e riprendere a delinquere. Un esempio concreto: un industriale si rivolse ad un capocosca per uccidere chi lo aveva offeso; il capocosca disse, Va bene, io non lo posso fare perché sono in libertà vigilata e mi controllano, ma lo dico a mio cugino che ha ottenuto l’affidamento in prova. Così fu.

L’ultima richiesta (ultimatum) dell’Europa all’Italia è stata quella di accorciare i tempi del processo penale, in nome della ragionevole durata. L’Italia ha obbedito ed ecco la riforma Cartabia. Un nome, una garanzia si direbbe, se non fosse che non mi risulta che abbia mai frequentato le aule giudiziarie, sperimentato l’accalcamento, i tempi trascorsi nei corridoi in attesa, gli odori che si generano in spazi ristretti. Ci sono gli esperti che la aiutano, vero, ma la pratica dà qualcosa in più. Almeno, così mi pare. E i risultati si sono visti. La riforma è una fuga dal processo e dalla pena. Molto è lasciato a decreti legislativi da emanare entro un anno, per cui in ossequio al principio della relatività spazio-temporale (c’è sempre il milleproporghe), preferisco attendere, ma qualcosa di certo è previsto. Si chiama ragionevole durata dei giudizi di impugnazione. Se il giudizio di appello e quello di cassazione non si concludono entro un certo tempo il processo muore.

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Adet Toni Novik

Pazienza la fatica ed il denaro che è stato speso per giungere alla sentenza di primo grado. Pazienza se il reato non è prescritto. Il giudizio muore lo stesso. Bisogna mantenere fede al principio per cui la prescrizione non deve operare? Chiamiamola improcedibilità e tutto è a posto. Ma la conseguenza è la stessa: il processo muore. Si chiama truffa delle etichette. La via italiana può essere suscettibile di svariate applicazioni. Per risolvere i problemi della sanità e i suoi tempi lunghi si può fissare un tempo unico per tutti gli interventi: scoccato il quale si richiude. I ritardi dei treni possono essere ovviati, fermando il treno e facendo scendere i passeggeri (copyright, Davigo). È questo che ci chiedeva l’Europa? Non mi pare. L’Europa ci chiede di ridurre i tempi dei processi, non certo di cancellarli; l’Europa ci considera – a ragione – un paese con un alto tasso di corruzione e dunque come potrebbe gioire se i processi per corruzione rischiano di evaporare in secondo grado o in cassazione? Al di là dell’astrattismo e dei ragionamenti libreschi, è stato verificato l’impatto che la riforma avrà effettivamente sui giudizi di appello? L’esperienza dei provvedimenti di amnistia e indulto ha insegnato che non appena se ne cominciava a parlare i reati aumentavano. Sapendo tutti che le corti di appello funzionano da collo di bottiglia e non riescono a stare dietro ai processi, è inevitabile che con la introduzione della estinzione per improcedibilità dei reati gli appelli aumenteranno.

Roma insegna: la Corte d’Appello ha una pendenza al 12 luglio 2021 di 48.831 processi penali, ai quali ogni anno se ne aggiungono ulteriori 13.000 circa. La macchina giudiziaria del distretto lavorando al limite delle proprie possibilità, riesce a definire ogni anno un numero di procedimenti sostanzialmente equivalente a quello delle sopravvenienze, pari a circa 650 procedimenti l’anno per collegio e a 216 procedimenti per magistrato. Sulla base del testo normativo in Corte d’Appello, entro i prossimi due anni, ogni collegio penale dovrebbe studiare, celebrare, definire e motivare, oltre ai 26.000 nuovi  procedimenti sopravvenuti, altri 2.441 processi, per un totale di  3.741 processi per ciascun collegio in due anni.

Napoli sta peggio: il presidente della Corte di appello di Napoli ha dichiarato che una sola sezione di quella corte ha tanti processi quanto l’intera corte di appello di Milano. Quali processi cadranno sotto la tagliola della improcedibilità? Evidentemente, quelli che non hanno imputati in stato di detenzione e colpiscono le fasce deboli: truffe, lesioni, furti, omicidi colposi, evasione fiscale, disastri colposi. E le vittime, quelli che gridano Vogliamo giustizia per i nostri cari morti, che fine faranno? E che dire della direttiva europea sulle vittime del reato che prevede il diritto di partecipare al giudizio? Per vederlo morire? Eppure è la stessa Corte europea che riconosce che “ogni persona dispone del diritto a che un tribunale conosca delle sue contestazioni relative ai suoi diritti e obbligazioni di carattere civile” e ha sanzionato la chiusura dei processi per colpa dei ritardi della giustizia.

Titola un articolo di un collega “E…OVVERO, DALLA DISCESA DEI BARBARI ALLA SALITA DELLE CARTABIA”. Adesso la chiusura dei processi è imposta per legge. Cosa altro dire? Che quello che poteva essere fatto non lo è stato. Figurava nel testo originario la previsione che i giudizi che in primo grado erano stati decisi da un unico giudice, anche in appello sarebbero stati decisi da un solo giudice (anziché da 3): eliminata. Quanti processi in più si sarebbero celebrati! È stato disincentivato l’appello? No. Eppure poteva prevedersi che l’appello fosse limitato ai casi in cui l’imputato contestava la condanna, e non quando chiedeva solo la riduzione della pena, oppure quando la condanna non doveva essere in concreto espiata. In questi ultimi casi sarebbe stato sufficiente il ricorso per cassazione.

Come andrà a finire? Per sapere dove si va bisogna sapere da dove si viene. Basta usare la memoria e avere vista un po’ lunga. In una intercettazione telefonica eseguita nell’ambito di una indagine su una banda che si dedicava a furti e rapine, è stato registrato il colloquio tra un malvivente straniero e un suo amico che si trovava detenuto all’estero (con il telefono!). Diceva il primo al secondo, “Quando esci vieni in Italia, che qui si lavora bene. Anche se ti arrestano, dopo un po’ di carcere si esce”. Da lì veniamo, e la strada che è stata tracciata non è rassicurante.

(3 – fine)

Novik riforma giustizia – MALPENSA24