Quando la fantascienza supera la realtà

FRA DISTOPIA E PROFEZIA | INTERVISTA AL PROFESSOR MAURO GERVASINI

Mauro Gervasini, critico cinematografico, consulente della Mostra del Cinema di Venezia, professore universitario all’Insubria. Grande esperto di cinema di fantascienza e di fantascienza distopica, cioè quel genere che ci mette in guardia su un futuro in cui non vorremmo mai vivere. Nel 1927 Fritz Lang gira il film Metropolis in cui mostra l’imprenditore-dittatore Fredersen che controlla i propri operai con un sistema tvcc, cioè di telecamere. Peccato che il primo sistema tvcc fu creato solo nel 1942. Nel 1902 Georges Méliès gira il film Viaggio nella luna, ma l’uomo ci sbarca solo nel 1969. Non contiamo i film sulle pandemie. Sono moltissimi gli esempi in cui il cinema riesce a prevedere il futuro.

Professore, fantascienza o capacità profetica?

«Scinderei i 2 ambiti: quello dell’anticipazione della tecnologia e quello dell’anticipazione degli scenari. Spesso gli autori della fantascienza sono stati bravi perché avevano un background scientifico di notevole spessore. Ricordiamo scrittori come Isaac Asimov e Arthur C. Clarke, co-sceneggiatore di 2001 Odissea nello spazio, che era matematico e astrofisico. Fritz Lang era appassionato di tecnologia e architettura e probabilmente aveva già avuto l’intuizione della possibilità di realizzare sistemi di telecamere e decise di narrativizzare questa cosa all’interno del suo film anche se nella realtà non esisteva ancora quel tipo di tecnologia. Viaggio nella luna di Méliès è ispirato al romanzo di Verne Dalla terra alla luna del 1865: Verne aveva un grande interesse per la matematica e la fisica e aveva calcolato già a metà ‘800 l’orbita possibile del razzo e la traiettoria più corta dalla Terra: ebbene sbagliò di soli 300 km rispetto a Cape Canaveral. Spesso quindi la grande fantascienza è stata profetica perché partiva da basi scientifiche solide. Per quanto riguarda la questione dell’immaginazione dei mondi e degli scenari, consideriamo che basta una scintilla per creare un immaginario che poi diventa reale. Basta cioè amplificare un problema che già presente nella realtà. Le pandemie esistevano già anche nel passato, pensiamo alla spagnola che ha fatto più morti delle armi. Pensiamo alla serie tv I sopravvissuti del 1975: la serie inizia con un tizio con la mascherina che parte dalla Cina e diffonde il contagio: gli ideatori avevano semplicemente ripreso un tema che inquietava da tempo».

Quanto la realtà attinge dalla fantascienza o, se preferisce, quanto la fantascienza ha contribuito a costruire la realtà?

«I due mondi, quello fantastico e quello scientifico, non sono poi così impermeabili fra loro. Il presidente francese Macron ha recentemente creato un team di scrittori di fantascienza per delineare i possibili scenari futuri, di fronte alla pandemia. Non è una novità e dopo l’11 settembre la stessa cosa accadde anche degli Stati Uniti. Quindi ci possono essere contaminazioni fra i due mondi e sicuramente la realtà ha più volte attinto dalla fantasia. Pensiamo al computer di 2001 Odissea nello spazio, che all’epoca non poteva esistere e che invece è diventato realtà negli anni successivi».

Secondo lei quanto lo scienziato si ispira ed è stimolato in termini creativi da chi scrive testi di fantascienza?

«Ci sono stati casi in cui fisici e astrofisici hanno preso spunto da puntate di Star Trek per avere conferma di determinate teorie. La terza puntata di Spazio 1999 affronta un buco nero, quando ancora i buchi neri non si conoscevano».

Philip Dick ha scritto Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e la PFM ha recentemente lanciato un disco che riprende l’opera di Dick. Stiamo davvero diventando androidi? Ci stiamo disumanizzando, come scrive Dick e come sostiene la PFM?

«Penso che se c’è un autore profetico quello è Dick, forse aiutato anche dalle sostanze psicotrope che assumeva e dalla perenne paranoia che ne derivava. Il suo romanzo ci invita esattamente a riflettere sulla disumanizzazione, sul rischio che correvano all’epoca e che si corre tutt’ora. Da questo punto di vista ci ha azzeccato in pieno. Ma Dick era spaventato dalla tecnologia, la considerava responsabile della disumanizzazione. Altri come Asimov concepivano invece la tecnologia come fonte di progresso».

E lei cosa ne pensa della tecnologia?

«Dick è tra i miei scrittori preferiti ma non condivido la sua inquietudine, indotta anche la periodo in cui scriveva, quello della guerra fredda e del controllo delle istituzioni poliziesche sulla società. No non condivido la tecnofobia. Ovviamente anche la fede cieca nella tecnologia non va bene: mai togliere il fattore umano».

Distopia politica e sociale: abbiamo letto Orwell e assimilato molta filmografia sull’argomento. Che idea si è fatto del futuro che ci attende dietro l’angolo?

«Le grandi rappresentazioni distopiche letterarie del ‘900 avevano come fonti di maggiore inquietudine per il futuro dei modelli che appartenevano al passato: i regimi dittatoriali di quel secolo, cioè per Orwell lo stalinismo e per altri il fascismo e il nazismo. Ma sono pericoli non più incombenti. Oggi il vero pericolo per il futuro – e questo è lo scenario distopico – è la disgregazione della democrazia. Le democrazie sono in pericolo, in quanto i sistemi politici sono sempre più fragili e lo abbiamo visto dall’11 settembre in poi nella più grande democrazia del mondo: gli Stati Uniti. Assistiamo alla trasformazione dei corpi elettorali in semplici sistemi notarili e allo strapotere sempre maggiore degli esecutivi. quindi il vero rischio è la fragilità delle nostre democrazie, di cui non si vogliono vedere e affrontare i problemi. Ricordo che una delle distopie più agghiaccianti della fantascienza è quella del film di Rollerball, dove non c’è un regime dittatoriale bensì un regime che fa stare bene tutti in cambio del silenzio e del consenso di fronte alle decisioni prese dalle corporazioni. Un film di estrema attualità. Naturalmente la distopia più inquietante resta quella ecologica e ambientale che supera di gran lunga quella politica e sociale».

Serie tv e cinema, è la storia di Caino e Abele, oppure è un passaggio di testimone generazionale, o infione una futura sana convivenza fra due estetiche che potremmo definire complementari?

«Lo premetto sempre: sono poco esperto di serie tv. In ogni caso continuo a considerare cinema e serie tv due percorsi diversi: non credo che il cinema invecchierà mai e non sarà mai sostituito dalle serie tv. Credo che i due sistemi potranno sicuramente convivere anche se va considerato che in questo periodo le serie sono maggiormente attrattive grazie anche al confinamento per il covid».

Nelle foto: dall’alto, Mauro Gervasini e, accanto, il robot “creato” da Fritz Lang in Metropolis, e Gervasini al Festival del Cinema di Venezia. Credit: Venice Film Festival program advisor Film Tv / Giorga Carena

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