Quell’assurda quarantena

"SONO RIENTRATO DALLA GERMANIA E, ANCHE SE SONO SANO, MI HANNO MESSO IN QUARANTENA 4 SETTIMANE. ASSURDO"

di Pierluigi Pennati

Al momento sono previste tre tipi di quarantene: quella obbligatoria, per chi è affetto da covid-19, oppure è guarito ma il tampone è ancora positivo, o infine è affetto ma non è ricoverato, in quanto asintomatico; poi c’è quella fiduciaria per chi è stato in contatto stretto con malati di covid-19; infine c’è quella fiduciaria per chi rientra in Italia dall’estero con qualunque mezzo di trasporto. Io faccio parte di questa terza categoria.

Per il primo ed il secondo caso la quarantena è ovvia e necessaria, se sei malato non puoi circolare e andare ad infettare il prossimo, soprattutto vista la mortalità così elevata tra i soggetti più deboli. Ma le cose stanno diversamente per chi rientra dall’estero: considerato che non esiste più una zona a rischio specifica, ma l’intero globo è una sorta di zona rossa, che senso ha mettere in quarantena anche chi non è affetto e non risulta essere stato a contatto con persone malate?

Perché no, si potrebbe dire.

Premesso che l’ingresso in Italia è consentito solo per motivi di necessità, il decreto del 10 aprile, l’ultimo in ordine cronologico, obbliga chi rientra a compilare autocertificazioni e comunicazioni. Nel caso si rientri con mezzi propri, come l’auto, bisogna informare l’Azienda Sanitaria del territorio che ti mette in quarantena ed isolamento sociale indipendentemente dai sintomi. E su questo ci sarebbe da riflettere.

Ma quanti sono i rientri in Italia? Non è stato possibile scoprire il dato. Posso operò portare la mia testimonianza. Sono rientrato il giorno di Pasquetta dalla Germania con la mia auto. Siccome sono rispettoso delle leggi e mi piace essere un buon cittadino, prima di partire ho telefonato al numero del Servizio Prevenzione Sanitaria della ASL di Varese, e mi hanno fornito un indirizzo email al quale scrivere e così ho fatto. Qualcuno mi ha risposto inviandomi un modulo da compilare con le date del viaggio, la località di arrivo, i miei dati personali ecc. Così ho intrapreso il viaggio partendo nel primo pomeriggio da Friburgo. In dogana a Basilea mi è stato chiesto dove mi recassi e verificati documenti, siccome il transito in Svizzera è consentito, mi è stato solo suggerito di attraversare il Paese senza deviazioni e senza fermate. Il doganiere è stato anche simpatico consigliandomi però di non correre perché in Svizzera le multe sono salate.

Mi capita spesso di attraversare la Svizzera, dato che mia moglie lavora e vive in Germania e posso dire che c’era molto meno traffico del solito, anche se in territorio elvetico non sono in vigore le stesse dure restrizioni alla circolazione come in Italia. Quindi presumo che gli Svizzeri siano usciti per Pasquetta infatti nei molti prati adiacenti la strada c’erano parecchi escursionisti, comunque distanziati tra loro. E sono arrivato al confine italiano.

Ho attraversato il confine a Como Brogeda: da Mendrisio in poi ero solo sulla strada e, arrivato alla dogana non c’era nessuno. Una atmosfera surreale che mi ha messo soggezione al punto che sono entrato sotto le pensiline della dogana italiana a passo d’uomo fermandomi più volte senza vedere altri che un finanziere che attraversava lontano e che non mi ha nemmeno guardato. Mi sono persino fermato davanti alla guardiola ma vedendola vuota sono ripartito lentamente e sono entrato in Italia senza alcun controllo. E sono arrivato a casa, a Gallarate. Con il senno di poi avrei persino potuto evitare di comunicare alla ASL il mio rientro in Italia, dato che l’obbligo è di comunicare il rientro entro 24 ore. Ma mi piace essere scrupoloso, come ogni buon cittadino.

Rientrando ho portato con me provviste almeno per i primi giorni, prevedendo di non poter uscire e una volta a casa ho scritto subito alla ASL chiedendo istruzioni anche per questo gli approvvigionamenti. La risposta è arrivata martedì mattina nella solita forma anonima: per le necessità alimentari avrei dovuto chiedere assistenza al Comune oppure farmi aiutare da un conoscente. Ho pensato che cominciavamo male perché nel decreto, che ho letto, si parla di modalità stringenti, mascherine da indossare e contatti da evitare, e assistenza remota, invece al telefono un operatore mi ha detto di doversi informare perché non gli era ancora capitato un caso di rientro”.

Sicuramente sono stato il primo caso di rientro dall’estero per il mio medico di base, il quale – pur gentilmente – mi ha informato che la quarantena non sarebbe stata di due settimane bensì di quattro. Quattro settimane senza poter andare a lavorare. Quattro settimane a prescindere dal fatto che io sia sano o malato, senza alcuna possibilità di verificarlo, perché i tamponi non sono previsti per chi rientra. La cosa curiosa è che provengo da una nazione dove l’attenzione alla salute è molto alta, i dati sulla mortalità dicono che in Germania si muore di coronavirus dieci volte meno che in Italia. Sono rientrato per lavorare, sapendo che probabilmente rivedrò mia moglie solo alla riapertura delle frontiere che potrebbe essere tra un anno. E la cosa assurda è che invece di verificare il mio stato di salute con un tampone che costa 80 euro faranno spendere all’INPS il corrispettivo di un intero mese di stipendio che, nel mio caso, non è nemmeno cosa da poco. Se fosse possibile pagherei io quel tampone, anche una cifra superiore, ma in Italia non si può fare.

La cosa è ancora più assurda se si considera che ci sono migliaia di persone, come i frontalieri per esempio, che vanno e vengono dall’estero tutti i giorni senza essere messi – giustamente – in quarantena, o il personale viaggiante. Oggi, con il sistema di psicosi che si è creato, non è possibile obiettare più nulla contro provvedimenti insensati. Ma la sensazione è che su molte cose stiamo perdendo il lume della ragione: una quarantena di quattro settimane non aiuterà certo a contrastare il virus: sarebbe stato invece molto intelligente poter eseguire un test di verifica. Ma forse è chiedere troppo, soprattutto di questi tempi.

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