I boschi di Samarate imprese dello spaccio: ai pusher 1.800 euro al mese

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SAMARATE – Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere la 38enne di Angera e il 34enne marocchino fermati dai carabinieri della compagnia di Gallarate nell’ambito dell’operazione “Il bosco di Zak” che ha permesso di smantellare un giro di spaccio da circa 900mila euro ogni sei mesi; quasi due milioni di euro in un anno.

Martedì l’interrogatorio di Zak

Martedì 22 giugno compariranno invece davanti al Gip do Busto Arsizio Luisa Bovitutti i cinque destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita giovedì 17 giugno. Ovvero Zak, marocchino di 36anni senza fissa dimora, vertice del sodalizio e i suoi “luogotenenti”: due uomini marocchini di 34 e 26 anni e due donne italiane di 35 e 29 anni entrambe residente a Vergiate. L’operazione portata a termine dai militari della compagnia di Gallarate, eseguita dagli uomini dell’Arma delle stazioni di Vergiate e Sesto Calende sotto la direzione del pubblico ministero di Busto Arsizio Francesca Parola, ha aperto uno squarcio nella realtà (purtroppo presente in tutta la provincia di Varese) dello spaccio di stupefacenti nei boschi. Questi, nello specifico, erano quelli di Cascina Costa.

Giro d’affari da quasi 2milioni l’anno

E’ una delle rare occasioni in cui, ad esempio, l’attività investigativa è riuscita a quantificare il volume d’affari dell’attività: introiti pari a circa 5mila euro al giorno con una media 50 cessioni di droga quotidiane. In sei mesi di attività i militari hanno documentato “vendite” per un valore di circa 900mila euro per un totale di 5.400 cessioni. Bilanci da impresa; così come imprenditoriale era l’organizzazione del sodalizio. Ciascun bosco ha un suo vertice; in questo caso Zak. E il 36enne ha mostrato di avere un vero talento per gli affari visto che di boschi ne controllava addirittura due; una sorta di capo area all’interno di una multinazionale.

“Stipendi” da 1.800 euro al mese

Alle sue dipendenze aveva tutti fantasmi. Nel vero senso della parola. Eccezion fatta per il gruppo di donne italiane, quasi tutte legate da relazioni con gli spacciatori maghrebini che della loro dipendenza approfittavano, tutti gli altri ingranaggi della grande azienda dello spaccio nel verde sono di fatto dei fantasmi. Nessuno ha documenti, tutti hanno alle spalle un lunghissimo elenco di alias. Il solo modo per collegarli a quella miriade di nomi fasulli (tutti con precedenti) sono le impronte digitali. Ma la vera identità di ciascuno resta comunque celata. Dipendenti fedelissimi che il boss ricompensava adeguatamente: un dipendente soddisfatto rende di più, questo si sa. A quanto pare la media del compenso giornaliero si aggirava intorno ai 60 euro. Il compenso era esentasse per ovvie ragioni; i pusher lavorano su turnazione sette giorni su sette. Il tutto si traduceva in uno stipendio mensile che oscillava tra i 1.500 e i 1.800 euro. Il dettaglio singolare è che, nonostante un reddito mensile più che decorso, gli “aiutanti” di Zak restavano fantasmi. Nessuna dimora, nessuna casa nemmeno un’auto di loro proprietà. 

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