Tigray, lo stupro è diventato arma da guerra

I responsabili sarebbero i soldati eritrei. Sotto accusa il premier etiope Abiy Ahmed che decide di collaborare con l'Onu per fare chiarezza

di Carlo Pedroli

Cinque mesi fa il premier etiope Abiy Ahmed considerava il conflitto nella regione del Tigray questione ormai conclusa e risolta, un problema superato. Di recente però, dal corno d’Africa arrivano notizie in netto contrasto con le parole del presidente. Mentre le truppe eritree, considerate dai cittadini tigrini colpevoli di aver commesso crimini contro l’umanità, si ritirano dal suolo etiope, montano le accuse e le denunce verso l’operato e la trasparenza del presidente stesso.

Nel 2019 Ahmed era stato insignito del Nobel per la pace a seguito delle trattative e della pacificazione proprio tra i due paesi del corno d’Africa. Il rilascio di tutti i prigionieri politici eritrei, detenuti in Etiopia, fu il gesto che gli valse questo importante riconoscimento. Due anni dopo tutto è cambiato. Il suo nome è ora al centro di una gigantesca polveriera mediatica. Ogni giorno dal paese escono notizie contrastanti, le sue stesse parole di pace sembrano oggi cozzare contro le pesanti accuse che gli vengono rivolte. Troppi i punti oscuri, migliaia le aberranti testimonianze di stupri, di incarcerazioni politiche e di crimini contro l’umanità.

Un dato sembra ormai certo: lo stupro come arma da guerra, come rappresaglia, è stato utilizzato dalle truppe durante il conflitto in Tigray. Accusa lanciata il 22 gennaio da Pramila Patten, rappresentate speciale ONU sulle violenze sessuali nei conflitti: “Sono estremamente preoccupata – ha detto Pramila Patten – per le pesanti accuse di violenze sessuali nella regione etiope del Tigray”. E ha denunciato migliaia di stupri, anche nella capitale tigrina di Macallè, riportando notizie di “individui presumibilmente costretti a stuprare membri della loro stessa famiglia, sotto minaccia di imminente violenza”. Questi episodi non sono circoscritti alle zone occupate militarmente: molte denunce analoghe provengono infatti anche dai campi profughi, dove intere famiglie costrette a fuggire dalla guerra si trovano imprigionate alla mercè dei loro aguzzini.

Il 12 febbraio, dopo la denuncia di Pramila Patten, il ministro etiope delle donne, dei bambini e della gioventù, signora Filsan Abdullah Ahmed, ha dichiarato: “Una task force governativa ha stabilito che le violenze sessuali hanno avuto luogo con certezza e senza alcun dubbio”. Il ministro non ha però specificato quali forze siano responsabili dei crimini, anche se dalle notizie che trapelano le colpe ricadrebbero sui soldati dell’esercito eritreo. Truppe di cui lo stesso presidente Ahmed ha sempre negato perfino l’esistenza. Il blocco delle comunicazioni, durante la guerra, al fine di non lasciar trapelare informazioni riguardanti crimini e abusi, ha impedito che il mondo scoprisse ciò che stava accadendo in Tigray. Ma ora emergono testimonianze precise e accuse terrificanti. Centinaia di donne tigrine, ha dichiarato Tedros Tefera, medico attivo nel campo profughi di Hadayet, hanno contratto l’HIV o malattie sessualmente trasmesse a seguito degli stupri e delle violenze dei soldati.

Il primo ministro Abiy Ahmed, dopo le accuse di “crimini contro l’umanità” sollevate dal segretario di Stato americano Anthony Blinken, si è ritrovato con le spalle al muro e ha dovuto ammettere la presenza di truppe eritree sul suolo etiope. Soldati che – secondo il presidente – hanno fatto un favore ai nostri reparti militari durante il conflitto. E se hanno commesso i crimini di cui vengono imputati, dovranno pagare per questi atti. E’ iniziata quindi la collaborazione tra Etiopia e Nazioni Unite per individuare e punire i colpevoli. Il 18 marzo il capo dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha stretto un accordo con la Commissione Statale Etiope per i Diritti Umani al fine di avviare un’indagine congiunta per fare chiarezza. “Le vittime e i sopravvissuti – ha sostenuto Bachelet – non devono vedersi negati i diritti alla verità e alla giustizia”.

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