Violenza sulle donne. Il colore della vergogna

di Fabrizio Iseni

Il dato è agghiacciante ed è fornito dall’Istat: in Italia il 31,5 percento delle donne di età compresa fra i 16 e i 70 anni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza sessuale, fisica o verbale. E più specificamente il 21 percento, cioè 4 milioni e mezzo di donne, hanno subito una forma di violenza sessuale. Non siamo a Kabul e questo non è l’Afghanistan dei talebani: siamo in un Paese che si autodefinisce civile e che da decenni fa della difesa dei diritti dei cittadini e delle donne una bandiera di democrazia e civiltà. Eppure, nel silenzio di mura domestiche, di uffici, ma anche di luoghi pubblici, la violenza sulle donne non si placa. Al punto che il Parlamento ha dovuto varare, due anni fa, il “codice rosso”, una procedura d’urgenza introdotta per combattere i reati legati alla violenza “di genere” e familiare. Codice rosso, il colore della vergogna.

Le violenze a sfondo sessuale non sono solo fisiche ma anche verbali. Oggi sono un milione e 400 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro. In pratica una donna su 10. Un dato che nel tempo è andato via via crescendo. Afferma l’Istat, l’Istituto di statistica nazionale: “Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nel 80,9 percento dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro”.

Dietro numeri asettici si celano storie personali di dolore, di umiliazione, di sofferenza. Storie che vogliamo ricordare, insieme a tutte le vittime, attraverso questa breve riflessione. Storie che raramente salgono alla ribalta delle cronache ma che l’ordinamento giuridico italiano punisce con forza: la legge prevede la reclusione da due a quattro anni per “chiunque, con minacce, atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, in forma verbale o gestuale, reca molestie o disturbo violando la dignità della persona”. E la Corte di Cassazione ha chiarito che “è configurabile il tentativo di violenza sessuale quando, anche in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti l’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale”.