
di Andrea Minchella
VISTO
OPPENHEIMER, di Christopher Nolan (Regno Unito- Stai Uniti 2023, 180 min.).
Oppenheimer è Cillian Murphy. E Cillian Murphy è Oppenheimer. Questo è certo. E non è un dettaglio. Christopher Nolan realizza un gigantesco ritratto dell’uomo che cambiò il mondo per sempre. Christopher Nolan schiera un esercito per dare vita ad un viaggio asfissiante nella mente e nell’anima di Julius Robert Oppenheimer e dei suoi collaboratori. “Oppenheimer”, con le sue leggere sbavature, è comunque uno straripante capolavoro che cerca di trasmettere al pubblico un briciolo della tensione emotiva che deve aver attraversato i cuori di chi ha partecipato alla realizzazione dell’arma più pericolosa e distruttiva che l’uomo abbia mai costruito.
Al di là dei meriti, delle colpe, dei ripensamenti dei riconoscimenti, il progetto “Manhattan”, al centro del film, diventa mitologia del progresso e del suo effetto sull’uomo e sul mondo. I risultati scientifici raggiunti dagli scienziati sono eventi miracolosi che vengono poi declinati a seconda degli scopi che si vogliono ottenere e degli usi che se ne vogliono fare. E Nolan cerca di puntare la luce su questa dinamica diabolica che permea da sempre il rapporto tra scienza e politica. La politica, spesso miope e assettata di risultati a breve termine, si scontra violentemente con i protagonisti del mondo scientifico che non hanno limiti né tabù nella corsa alla scoperta che possa renderli immortali. Nello scontro, però, la politica ne esce quasi sempre vincitrice perché in fondo è lei che decide le regole del gioco.
“Oppenheimer” ci restituisce in parte uno squarcio della potente contesa morale tra Oppenheimer, da una parte, e la politica americana, dall’altra. I dubbi dello scienziato americano vennero letti come sintomo di debolezza e fragilità ma anche come effetti tardivi di un ripensamento ad aver contribuito alla realizzazione di un’arma dalla sconfinata potenza distruttiva. Oppenheimer, invece, decise politicamente di partecipare al progetto “Manhattan” perché pensava che la corsa al nucleare da parte dei tedeschi sarebbe stata molto più pericolosa di quella americana. Ma a guerra conclusa, e con la disfatta della Germania e dell’Europa intera, l’utilizzo della bomba appena testata nel deserto del New Mexico sembrava, per lo scienziato, ormai del tutto inutile e superfluo. Ma gli Stati Uniti, che avevano finanziato l’ambizioso progetto, non la pensavano allo stesso modo. Anche a causa del riposizionamento, dopo il conflitto mondiale, delle potenze vincitrici, fra cui l’ingombrante e ambigua Russia.
Il bravo Nolan riesce grazie ad una costruzione maniacale di tutta la struttura sonora della pellicola a trasmetterci la potenza, a volte allucinata, della mente di Oppenheimer e della devastazione dell’esplosione. Confeziona anche un interessante racconto sull’inchiesta che l’America ha voluto condurre nei confronti dello scienziato critico e distante. Ma la tensione stilistica, scenica e grammaticale si dissolve a favore di un ritmo più lineare e meno introspettivo. L’apporto di Nolan è potente e prezioso nella parte in cui la follia visionaria di Oppenheimer scardina ogni ragionamento fino a quel momento elaborato. È meno evidente nella narrazione storica delle inchieste sullo scienziato che vennero imbastite molto dopo le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.
Un interessante capitolo va riservato alla capacità di Nolan di far incontrare il vecchio mondo, con Einstein e le sue scoperte, e il nuovo mondo, con Oppenheimer al servizio di una potenza militare irraggiungibile. La staffetta tra i due scienziati diventa l’esatto momento in cui il mondo si trasforma in quello che oggi conosciamo. Il progresso comunque avviene, portandosi dietro, quasi sempre, morte e distruzione. È il prezzo che deve essere pagato per il raggiungimento di nuovi obbiettivi, sempre più ambiziosi e complessi. È un processo i cui protagonisti, spesso, vengono idolatrati o sacrificati a seconda delle opportunità del momento. Nolan riesce a cristallizzare questo repentino mutamento e si mette al servizio di una storia che deve essere raccontata perché emblema della società contemporanea e della sua capacità di autodistruggersi in nome dell’ossessiva volontà di supremazia assoluta.
Il cast del film è enorme (forse Emily Blunt risulta sacrificata) e completamente soggiogato dalla potenza scenica di Murphy. Sublime.
***
RIVISTO
THE DAY AFTER- IL GIORNO DOPO, di Nicholas Meyer (The Day After, Stati Uniti 1983, 126 min.).
Certamente datato e feticcio. Si vede che viene realizzato nei primi anni ottanta. Ma la paura ancestrale dell’estinzione dell’uomo viene perfettamente veicolata da questo piccolo film per la televisione americana.
Ancora in guerra fredda, l’America di Regan vive esageratamente in un ossessivo e alienante timore di uno scontro nucleare con la Russia. Angosciante e terrificante.