VISTO&RIVISTO Risiede tra le righe ciò che ci spaventa davvero

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di Andrea Minchella

VISTO

X: A SEXY HORROR STORY, di Ti West (X, Stati Uniti 2022, 106 min.)

Troppo facile sparare sulla Croce Rossa. Bisogna sempre cercare qualcosa di buono che possa giustificare la realizzazione di film come questi. Se ci sono autori che li scrivono e case di produzione che li producono, è perché ci sono spettatori che guardando pellicole come queste sentono di vivere un’esperienza necessaria e preziosa che possa portare nelle loro vite un po’ di svago e di intrattenimento, tanto utili in questo periodo complesso che il mondo sta vivendo. Guardare certe opere può diventare una specie di “catarsi” per meglio sopportare le reali e tangibili brutture che sembrano aver avuto la meglio sulla società contemporanea. Detto ciò, anche racconti come questi potrebbero puntare ad una qualità un po’ più alta, proprio per rendere ancora più esclusiva l’esperienza che, solo al cinema, possiamo vivere ed apprezzare.

“X” è un film di genere, molto “psycho-biddy” (in cui solitamente la figura femminile viene ritratta in maniera grottesca), che punta sull’aspetto “splatter” e “pulp” della narrazione. Ti West, che è un capace regista concentrato sulla narrazione di storie “horror”, decide di realizzare un iconografico racconto i cui “topos” sono stati frequentemente raccontati nei moltissimi film genere “teen-horror” che sono stati realizzati fino ad oggi. Troviamo, infatti, un gruppo di ragazzi, non proprio giovanissimi, in un’America del 1979, che per realizzare il loro film “porno” si recano in una sperduta e terrificante fattoria del Texas, il cui padrone, che sembra il maggiordomo di “Rocky Horror Picture Show”, non pare abbia capito la vera intenzione di quel gruppo di “peccatori”. A completare la vicenda, c’è Pearl, la moglie anziana del fattore, che sembra essere misteriosamente attratta dalle bellezze provocanti e sfacciate delle ragazze che fanno parte della troupe e del cast del film che si appresta ad essere girato in quel luogo esageratamente (troppo) spaventoso.

La sceneggiatura è il vero punto debole dell’intera produzione. La bassa qualità dello “script” compromette pesantemente il giudizio sul film. Peccato. Perché il bravo West ci racconta qualcosa di più di quello che vediamo per quasi due ore di pellicola. L’originalità di questa produzione risiede proprio nell’elemento che più fa paura e spaventa di un “vecchio” impazzito con un fucile imbracciato, di un umanizzato coccodrillo gigante o di uno scantinato buio e scrigno di inquietanti segreti. Il desiderio ossessivo dell’anziana Pearl di rivivere la sua giovinezza e la sessualità ormai perduta diventa il fulcro dell’intera vicenda. Lo sgretolarsi della giovinezza e la sgradevole e disabilitante vecchiaia di un essere umano sono i veri elementi che spaventano e inquietano gli spettatori di questo film. La solitudine e la graduale mancanza di autostima, che si impossessano lentamente delle vite di molti anziani, diventano detonatori, in questo caso, di una violenza spietata e sanguinosa che reggono la maggior parte delle sequenze finali.

Il montaggio non è convenzionale e riesce ad apportare un maggiore senso di inquietudine durante la narrazione. Gli attori sono discreti. La protagonista, la brava Mia Goth, interpreta sia una delle ragazze attrici del film “porno”, sia la terrificante e anziana Pearl, il cui personaggio sbiadisce, soprattutto nelle sequenze finali, a causa di una poco convincente presa di posizione da parte del regista di voler emanciparsi da una troppo convenzionale scelta grammaticale di raccontare la storia.

A fare da filo conduttore di tutta la narrazione, poi, un televisore che trasmette ininterrottamente sermoni contro la deriva della società moderna (siamo nell’America incandescente del 1979) da parte di uno dei tanti pastori televisivi che hanno inondato la televisione americana per molti anni, manipolando, spesso, le coscienze dei milioni di spettatori che guardano quei programmi per redimersi da una vita piatta e solitaria.

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RIVISTO

THE VISIT, di M. Night Shyamalan (Stati Uniti 2015, 94 min.)

Distante anni luce dal leggendario “The Sixt Sense”, questo undicesimo film di Shyamalan riesce comunque a far paura facendo leva sull’ancestrale paura di un bambino di essere abbandonato dalla madre.

Anche se si tratta di nonni, il senso di abbandono e di angoscia che si possono provare possono essere detonatori di paure più profonde e subdole. Lo stile e la grammatica tornano ad essere di buon livello, dopo alcuni lavori meno convincenti dell’autore statunitense. Vale la pena ricercarlo e riguardarlo nuovamente.

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