AQUILOTTO DELLA VALLE DEL SEVESO: “Lazio prima con merito e gli arbitri non c’entrano”

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Teodor Nasi

Che l’aquila voli alto, sola, tra il bianco delle nuvole e il celeste del cielo di Roma, che è il cielo degli dei, ebbene, dovrebbe essere normale.

Eppure non lo si vedeva da vent’anni nel girone di ritorno.
Sovviene il gesto del Marchese del Grillo, che afferra il pomo metallico del bastone da passeggio quando il grande Pio VII (interpretato da un immenso Paolo Stoppa) dice che per la morte del papa bisogna fare i dovuti scongiuri. Ecco, noi e i lupini nella nostra storia abbiamo visto più papi che scudetti.
Pare che per ora la fortuna ci sorrida, ma la fortuna è un’amante gelosa. Napoleone diceva dei suoi marescialli che voleva avessero una sola qualità: la fortuna.

Inutile girarci intorno: per ora siamo stati forti, precisi, eroici a tratti, ben messi. Ma anche fortunati. Non con gli arbitri, chi lo sostiene è di una pochezza straordinaria. Il calendario ci favorisce. Punto.

Nell’antichità, Roma aveva un nome segreto e il nome segreto di Roma non si poteva pronunciare e nemmeno sussurrare. I romani, quelli veri, erano superstiziosi al di là di ogni immaginazione. E non pronunciamo il nome del sogno, restiamone schiavi.
Dopo la semifinale con l’Argentina nel ’90, sulla Gazzetta scrissero che per tre settimane eravamo stati schiavi di un sogno e allora quel sogno era svanito. Amaro. Ma quanto è stato splendido quel campionato del mondo? Chi non si commuove oggi sentendo “Notti magiche”?

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