Autonomia regionale, rivoluzione in dirittura d’arrivo?

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di Antonio Laurenzano

Autonomia differenziata regionale, atto finale? Il progetto di riforma, con la Lega fuori dalla stanza dei bottoni, è stato “revisionato” dal Governo giallorosso con una bozza di legge quadro che ha ottenuto il via libera dalla Conferenza Stato-Regioni. In cantiere un “regionalismo differenziato costruito intorno ai Comuni, in un quadro di coesione nazionale, che consenta allo Stato di intervenire in tutte le aree in cui c’è ritardo di sviluppo”. La legge quadro, ha dichiarato il Ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, “vuole evitare nuove forme di accentramento regionalista riconoscendo ai Comuni funzioni amministrative con relative risorse.”

A un Commissario sarà assegnato il compito di definire fabbisogni standard e livelli essenziali delle prestazioni (Lep) per assicurare uniformità su tutto il territorio nazionale attraverso la “perequazione infrastrutturale”. In attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà, una quota dei fondi di finanziamento degli enti locali (una dote iniziale di 3 mld) sarà vincolata al riequilibrio territoriale in favore delle regioni più svantaggiate e, all’interno di queste, in favore di province e comuni dissestati.

“Un segnale forte alla lotta alla disuguaglianza, una riforma di tutti, senza colore politico”, ha commentato Boccia che vuole portare il testo della legge, con gli ultimi aggiustamenti, in Consiglio dei Ministri lunedì 2 dicembre, con l’ambizioso obiettivo di chiudere la cornice normativa, sotto forma di emendamento, con la legge di bilancio all’esame del Parlamento. A gennaio, pentastellati e imboscate parlamentari a parte, si potrebbero fare già i primi accordi (da convertire successivamente in legge) con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna per il trasferimento delle nuove competenze e delle nuove risorse. Sono le tre Regioni che da sole contribuiscono a circa il 40% del Pil italiano e che nell’ultima Legislatura avevano sottoscritto una pre-intesa su un’autonomia di tipo amministrativa in cinque materie (politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali con l’Ue) con la controversa ipotesi, per le nuove competenze acquisite, di calcolare i fabbisogni di spesa parametrizzati anche al gettito/risorse dei territori. E cioè fabbisogni più elevati in presenza di un gettito tributario più elevato da destinare per il 90% al territorio.

Qualche accademico aveva parlato di “secessione dei ricchi”. Oggi la richiesta di Lombardia e Veneto punta ancora più in alto: 23 nuove competenze (fra cui fisco e fiscalità locale, giustizia di pace, infrastrutture e trasporti, beni culturali), quella dell’Emilia è su 15 competenze.

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Antonio Laurenzano

Si tratta dunque di un progetto riformatore molto importante sul piano politico e complesso su quello istituzionale, nato con la riforma costituzionale del 2001 in materia di autonomie locali. “Un progetto, ha commentato il Governatore del Veneto Luca Zaia, che così come si articola nella bozza della legge quadro del Ministro Boccia non è sottoscrivibile, se non con opportune modifiche circa la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.” Riserve anche da parte di Attilio Fontana, Governatore della Lombardia, in merito alle modalità di distribuzione del Fondo di perequazione e all’iter legislativo della riforma a rischio di emendamenti: “ok alla legge quadro, ma a patto che non venga stravolta dal Parlamento e corra veloce”, ha dichiarato nell’intervista al Sole24Ore e ribadito venerdi al premier Conte al Forum Eusalp, a Palazzo Lombardia.

Nel rispetto della volontà popolare, espressa con il referendum consultivo del 22 ottobre 2017, per Fontana e Zaia “l’autonomia è una sfida per le istituzioni che siamo chiamati a governare, nella consapevolezza che la nostra vita quotidiana è fatta di salti a ostacoli contro la burocrazia che complica ogni attività e rende difficile sia fare l’imprenditore sia l’amministratore pubblico, con la conseguenza che senza un Nord capace di reggere la competizione internazionale, l’intero Paese ne pagherà gli effetti negativi.”

Per la Lombardia, in particolare, sarebbe salato il conto dalla mancata autonomia: 10 miliardi di euro. Il Pirellone potrebbe portare a casa 2,6 miliardi di euro, quale risparmio teorico ottenuto dall’applicazione di costi standard in tutte le regioni italiane, per quanto riguarda l’erogazione di beni e servizi. A questa cifra potrebbero aggiungersi gli introiti delle concessioni delle infrastrutture nazionali: aeroporti, autostrade, ferrovie, centrali idroelettriche: un dossier di almeno 7-8 miliardi di euro. Ogni più precisa stima finanziaria gira ovviamente attorno alle reali competenze che saranno attribuite dall’autonomia differenziata.

Sarà un percorso lungo e difficile. Conciliare le giuste esigenze di autonomia con l’eguaglianza dei diritti fondamentali della comunità nazionale è la sfida che la classe politica deve affrontare con trasparenza e chiarezza, superando ambiguità e localismi. Questione di maturità politica e senso dello Stato.

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