Duello Beatles-Stones, Gino Castaldo al Lux calamita per il pubblico del Baff

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BUSTO ARSIZIO“Sono meglio i Beatles o i Rolling Stones”? Ad attirare ieri, venerdì 8 aprile, il pubblico del Baff in un teatro periferico come il Lux per una della serate più partecipate della kermesse è stato lo spettacolo di Gino Castaldo dedicato al duello tra la due band: introdotto da Steve Della Casa il giornalista di “Repubblica” ha ripercorso con filmati d’epoca le fasi di una contesa che, riscoperta e analizzata nel suo libro “Beatles e Rolling Stones – Apollinei e dionisiaci”, «se continua fino a oggi nasconde qualcosa di più profondo».

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Una contrapposizione costruita dal manager degli Stones

La sfida tra i gruppi è iniziata nel 1963, in un momento di big bang, di nascita di una cultura del tutto nuova e sovversiva: all’energia pura sprigionata in pochi mesi dai Beatles risposero presto i disordini ai live dei Rolling Stones. «Una contrapposizione», ha spiegato il conduttore di Rai Radio 2, «un po’ costruita furbescamente dal manager dei secondi, che incaricò di impersonare coloro che avrebbero fatto paura ai genitori delle ragazze». Ma i Beatles non erano poi così buoni e lo dimostrarono alla Royal Command Performance. Riccardo Rossi, in platea al Lux, ha ricordato come Lennon chiese aiuto per l’ultima canzone: “Gli spettatori seduti là in alto, nei posti più economici, ci accompagnino battendo il tempo con le mani. Gli altri basta che facciano tintinnare i loro gioielli”. La regina fece l’inchino: avevano vinto loro.

La nascita dei concerti rock

«Nel ’63 la sfida partì malissimo per gli Stones, che erano scarsi, si limitavano a eseguire cover ed ebbero il loro primo singolo di successo – “I wanna be your man” – firmato dai Beatles. Tutto si ribaltò due anni dopo quando, a fronte dell’uscita di “Help!” venne pubblicata “I can’t get no satisfaction”, una delle poche canzoni invidiate dai Fab Four. «La sfortuna dei Rolling Stones è che i Beatles arrivano sempre prima: fu la loro esibizione allo Shea Stadium, quando non c’era nessuna delle attrezzature che abbiamo adesso, a dare alla band di Mick Jagger l’intuizione della strada che avrebbero intrapreso». Una lezione imparata veramente bene, come ha osservato Castaldo mostrando gli spezzoni dei successivi spettacoli di Keith Richard e soci: «Il concerto rock nasce da loro, quell’immaginario arriva da lì».

L’immagine, il diavolo e la droga

Il confronto è proseguito in vari ambiti, a partire dall’immagine dei gruppi: «tutti uguali e “comunisti” i Beatles secondo la linea “ognuno contribuisce per quel che può”, gerarchie invece già evidenti per gli sghangherati Stones. Se il leader di questi ultimi impersonava il Maligno furono però i quattro di Liverpool a rubare, non intenzionalmente, la scena quando Charles Manson vide in loro i messaggeri del Diavolo a causa di “Helter Skelter”. E ancora, se gli autori di “Jumpin’ Jack Flash” erano i più drogati, McCartney e compagni si mostrarono senza pudore strafatti agli occhi del mondo nel filmato di “Strawberry Fields”. Il concerto sul tetto della Apple Corps è un esempio di come i Beatles fossero costantemente geniali con le loro mosse spiazzanti: «Un concerto “per nessuno”, fatto di inediti, che richiamò la polizia. Però ora, ogni sette-otto anni, c’è qualche gruppo che suona su un tetto».

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Il duello si è fatto surreale

Come ha poi rimarcato Castaldo, «con lo scioglimento dei Beatles il duello si è fatto surreale, tra una band che non esiste più e l’altra che continua imperterrita a salire sul palco. In realtà erano amici, specialmente nel periodo del ’67-’68: Mick Jagger ha partecipato ai cori di “All you need is love” e nel filmato dell’album “The Rolling Stones Rock and Roll Circus” si vede suonare John Lennon con l’altra band. Poi, per motivi tecnici, non venne diffuso e quando finalmente riuscì a vedere la luce, gli archetipi erano ormai fatti. Tuttavia, sebbene gli Stones siano in grado di riunire con un concerto un milione di persone a Copacabana, ai Beatles bastano, a distanza di tempo, tre secondi di inediti per far parlare solo di loro. È qualcosa di inspiegabile e sfuggente che hanno, mentre per gli altri è un continuo arrancare: lo conferma, da ultimo, il successo che ha avuto la serie di Peter Jackson “The Beatles: Get Back”».

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