Al Baff “La ballata dei gusci infranti”, don Alberto: «Un messaggio di vita nuova»

BUSTO ARSIZIO – La quinta serata del Baff ha portato ieri, mercoledì 6 aprile, al Teatro Manzoni, il messaggio di speranza del film “La ballata dei gusci infranti”, opera sensibile che ruota intorno a una ferita ancora aperta nella memoria nazionale, quella inflitta al Centro Italia dal terremoto del 2016-2017. A presentare il ritratto umano corale del lungometraggio di Federica Biondi, e a riflettere sui «germogli di vita nuova» di cui parla, c’erano don Alberto Ravagnani, coadiutore dell’oratorio di San Michele Arcangelo e prete influencer, e Simone Riccioni (nella foto sopra, al centro) attore e produttore esecutivo.

Il racconto di un territorio che non c’è più

«Vivo in un guscio di lumaca mio, in mezzo alle montagne», spiega, al parroco africano don Ghali, Jacopo, matto del villaggio che vive in una roulotte in mezzo alla natura e ama comunicare con i versi della Divina Commedia. Ed è lui, nel racconto di un territorio che non c’è più, il punto in cui intrecciano le quattro storie della “ballata” ai piedi dei Monti Sibillini: oltre alla sua, quelle dei genitori Alba (Lina Sastri) e Dante, attrice e drammaturgo, di Lucia che, abbandonata dal marito si ritrova all’improvviso a condurre la fattoria da sola, e di David ed Elisabetta, giovane coppia in attesa del primogenito.

Riportare la speranza nel Centro Italia

«Io sono David, e nella proiezione mi vedrete con i capelli più corti di come li ho adesso», si è rivolto al pubblico Riccioni. «“La ballata dei gusci infranti” è uscito a fine marzo e nelle sale sta andando bene. Tutti dicono che è un film sul terremoto ma non è così: parla del cuore delle persone, di amicizia, della loro unione. E di riportare la speranza nel Centro Italia. Si tratta di un film “piccolo”, con storie che fanno poco rumore, ma affronta anche il tema, ora portato all’attenzione dall’ansia della guerra, della nostra libera scelta: a toglierla, però, è bastato il Covid».

Un posto unico anche per chi non è credente

L’insegnamento del film, ha ricordato don Alberto, è che dalle crisi, e da un terremoto, si può uscire fuori: «Sono felice di ospitare Simone in questo oratorio e nel mio caso devo molto al terremoto dell’Aquila: con sé portò germogli di vita nuova che poi hanno fatto bene anche alla mia. La questione, più che i problemi in sé, riguarda il non avere qualcuno con cui stare quando essi sorgono; se invece queste persone ci sono, diventano i punti di partenza per una vita nuova».
Tutti abbiamo perso qualcosa: «Quando succede, l’unica soluzione è tornare a casa», ha aggiunto Riccioni. «Sono nato in Africa quando i miei genitori erano missionari in Uganda e per sette anni ho vissuto lì. Ma casa è un posto unico anche per chi non è credente, è il posto dove ci sono le persone che ti vogliono bene».

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