Caduti e dispersi in guerra, nuova illuminazione per il sacrario di Belforte

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Da sinistra sulla gradinata: Raffaele Catalano, Gerardo Corvatta, Davide Galimberti, don Marco Casale, Matteo Inzaghi e Luigi Bianchi

VARESE – «La nostra preghiera recita “La luce dei vostri occhi si è spenta” ma i nomi devono essere ben visibili: oggi hanno ricevuto un’illuminazione degna». Così Sergio Ferrario, presidente regionale dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in Guerra ha salutato il miglioramento dell’impianto elettrico del sacrario al cimitero di Belforte. L’intervento apportato alla cappella, che tra i 268 sulle sue lapidi ricorda non solo i soldati che hanno perso la vita nel primo e secondo conflitto mondiale, ma anche i deportati di Istria e Dalmazia, è stato celebrato in una cerimonia a cui hanno partecipato, con le associazioni d’arma, il viceprefetto Gerardo Corvatta, il sindaco Davide Galimberti e l’assessore Raffaele Catalano, don Marco Casale e Matteo Inzaghi, direttore di Rete 55.

Il messaggio della pace

Dopo che il corteo con bandiere e labari condotto dal cerimoniere Luigi Bianchi, consigliere del Gruppo Alpini di Varese, ha attraversato il camposanto, i presenti si sono disposti a quadrato all’ingresso del sacrario dove, prima della deposizione di una corona d’alloro sono stati eseguito l’inno d’Italia, il silenzio e “Il Piave”. «Il ricordo va mantenuto vivo – questa l’esortazione di Corvatta – le persone che hanno sacrificato la loro vita non sono solo un patrimonio dell’Associazione Famiglie dei Caduti e Dispersi in Guerra, ma soprattutto nostro come cittadini italiani, e come memoria di ciò che è successo».
«Spesso queste iniziative commemorative riguardo al loro sacrificio non vengono ben comprese – ha osservato Galimberti – io sono invece convinto che servano ad affermare con ancora più forza il messaggio della pace, perché possa prevalere; dobbiamo lavorare anche su questo, il mondo ne ha bisogno».

Ricordare e partecipare

«Il sacrificio di ogni vita è come un seme gettato nella terra – così don Mario – l’auspicio è che non venga reso vano ma sia fecondo di frutti e bene». Catalano ha parlato del suo particolare legame con l’evento: «Ho avuto uno zio disperso in Russia e un nonno cavaliere di Vittorio Veneto che, sebbene di indole taciturna, quando ero bambino mi colpì profondamente raccontando che “la guerra in trincea era noia mista ad angoscia”. E mia nonna combattè a lungo cercando di ricostruire gli ultimi istanti di vita di suo figlio ma il ministero della Difesa fece sapere, attraverso un telegramma, che non sapevano niente a riguardo. L’essere umano ha una grandissima dote, quella di ricordare. E quando alla memoria si associa la partecipazione, è il massimo. Bisogna ricordare che, grazie al sacrificio di questi giovani che combatterono, viviamo in una democrazia. Le guerre non sono necessarie: dobbiamo superare questa logica, ricordare e partecipare».

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