I Blues, i Bianco-Rossi e i Sempreverdi

caffè pellerin

di Ivanoe  Pellerin*

Cari amici vicini e lontani, in una giornata di caldo torrido, moltissimi hanno trovato sollievo e soddisfazione intorno alla TV guardando la partita dell’anno, cioè del mondiale. Il calcio è uno sport che non ho praticato e quindi non avrei titolo per commentare alcunché ma, quando il gesto atletico è compiuto con destrezza ed eleganza, attira tutta l’attenzione di chi conosce la fatica e il sacrificio che un’attività fisica impegnativa e difficile impone. Dunque anch’io ho prestato  attenzione alla gara e, in qualche misura, a tutti i commenti che ha scatenato e, dopo qualche giorno  a bocce ferme, pardon a pallone fermo, vi faccio parte di questa riflessione. Qualcuno ha riportato  una frase del padre della moderna Croazia, Franjo Tudjman, “Dopo la guerra, lo sport è la prima  cosa che permette di distinguere le nazioni”. E francamente le parole mi hanno procurato un capogiro.
Da una parte i Blues di Francia fra i quali si faceva fatica a distinguere i veri francesi per nascita, cultura e tradizione, forse tre o quattro (sia detto con riguardo), dall’altra i Bianchi e Rossi della Croazia che, pur con una forte identità, proprio perché giovane, troppo giovane, devono ancora costruirsi cultura e tradizione. Da una parte “libertè, fraternitè, égalitè” e per completezza “ou la mort” risalente al periodo delle più incredibili trasformazioni delle nazioni occidentali. Mi è facile ricordare che ben 10 anni prima, il 4 luglio 1776, nel corso del Congresso Continentale della  nascente nazione americana, Jefferson, Franklin e Adams ebbero a scrivere qualcosa di straordinario per quei tempi. Infatti nella Dichiarazione di Indipendenza delle 13 colonie fu scritto che   “Noi riteniamo che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti, che fra questi ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità …”. Che lo vogliate o no, noi veniamo tutti da lì.
Dall’altra parte, la terra croata che mi suscita ricordi non particolarmente buoni. Certo, la coscienza croata rimase sempre sveglia nonostante la lunga dominazione austriaca e riprese vigore all’inizio dell’800 con il movimento dell’illirismo. Ma da Sarajevo in poi con le sue tragiche conseguenze, ricordo il clima poliziesco della Jugoslavia di Tito, il terribile esodo degli italiani cacciati dalla terra  istriana, la tragica guerra del Kosovo con i suoi lutti spaventosi.
Credo che i francesi risultino spesso antipatici con il loro sfrenato sciovinismo e se penso a Macron, le petit Napoléon, il risultato peggiora. Ma non mi esalta neppure Zdravko Mamic, l’ex direttore generale della Dinamo Zagabria.
Confesso che quando gli atleti italiani cantano a squarciagola l’inno di Mameli un brivido freddo mi corre per la schiena. Ma ciò succede anche quando vedo sfilare di corsa i bersaglieri, o sfrecciare in cielo la Frecce Tricolori. Io rifiuto di pensare che l’identità di una nazione si possa riconoscere solo nell’attività sportiva, pure magnifica. Ritengo invece la si possa comprendere nella sua cultura,  nelle sue tradizioni, nell’ingegno delle arti e delle scienze, nell’impegno operoso con la fatica del  quotidiano. In questo, senza paura, affermo che noi siamo maestri.
Noi abitiamo nel paese più bello del mondo con il cielo blu, il “sole mio” e un’enorme distesa di  boschi sempreverdi. Cari amici vicini e lontani, ricordiamocelo più spesso.

*già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative e Terapia del Dolore dell’ospedale di Legnano

pellerin francia croazia – MALPENSA24