Smart working, pro e contro. Ma il futuro è già cominciato

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di Gian Franco Bottini

E’ iniziata la fase 2 e sono cominciati lo stappare delle “bollicine”, l’ ammucchiarsi dei giovanissimi in astinenza di socialità, lo sculettare delle ragazze che sfoggiano minigonne poco più ampie delle loro mascherine, e l’ offrirsi al sole delle belle signore con le loro mascherine ben più grandi dei loro slippini. Una gran voglia di ricominciare a vivere, che se da una parte scalda il cuore dall’altra disegna una cattiva interpretazione dell’attenzione che ancora dovremmo avere. Speriamo che tutti, passata la prima euforia, rientrino rapidamente nei ranghi, anche perché le difficoltà legate alla ripresa economica e lavorativa sono tutt’altro che risolte e il covi19 ci ha lasciato delle situazioni, per noi nuove, ancora da sbrogliare.

Fra queste quella che chiamano “smart working”, che etimologicamente è una cosa un po’ più complessa del più banale “lavoro a casa” del quale vogliamo oggi parlare. Senza sottilizzare sulle definizioni limitiamoci a prendere atto che questa metodologia di lavoro, che già si stava cautamente infilando nelle organizzazioni aziendali , il covid19 l’ha repentinamente accelerata. Le necessità del momento ci hanno spinti violentemente a verificare che spesso, anche se non in tutti i casi, la “cosa si può fare”, con apparenti vantaggi del datore di lavoro , del lavoratore e dell’economia in generale, che in molti casi, grazie allo SW, non si è bloccata. E non è cosa da poco! Ma una faccenda è valutare la metodologia su un arco temporale ristretto e sotto la spinta di una emergenza che costringe tutte le parti in causa a “remare nella stessa direzione”, diverso è dare allo stesso fenomeno uno stato di continuità.

Non è il momento di considerare terminata la fase emergenziale e i problemi da affrontare sono ancora ben altri, ma , fiduciosi nel futuro, pensiamo che presto questa esperienza di lavoro si consoliderà e quindi, senza aver la pretesa di fornire soluzioni, ci pare opportuno non rincorrere sempre i problemi ed iniziare a valutare quali i pro e quali i contro, le facilitazioni e le difficoltà, i pesi che finiranno sulla bilancia delle convenienze, i provvedimenti e le regole mancanti.

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Gian Franco Bottini

Il primo quesito che ci si presenta è quello della “misura” del lavoro svolto , da parte del datore, che possa essere in termini di quantità, sfiorando l’antico e discusso concetto di cottimo, o di qualità , con una esaltazione dell’altrettanto discusso concetto di meritocrazia. Uno scenario nuovo che include anche le varie situazioni di responsabilità e che deve trovare un inquadramento normativo di fronte ad altrettanto nuove ed inevitabili situazioni conflittuali. Oggi, al di là di scarne indicazioni sufficienti solo in un periodo di emergenza, tutto viene rimesso ad accordi aziendali e sindacali; domani ciò non sarà più sufficiente e, proprio stante la caratteristica delle nostre organizzazioni sindacali, non ci è difficile pensare che proprio queste potranno creare i maggiori freni. Non è per alimentare una polemica, ma pensiamo che un maggior numero di lavoratori distribuiti sul territorio , possa essere visto come un sensibile depotenziamento di due delle tradizionali leve di pressione sindacale: la forza del gruppo coeso e la minaccia dello sciopero.

Un’altra questione rilevante che, in una ipotesi di non temporaneità dello SW, si porrebbe inevitabilmente è quella logistica, perché normalmente gli spazi abitativi sono misurati sulle necessità del gruppo famigliare ma qualsiasi attività lavorativa, per essere correttamente svolta , necessita di appropriati spazi riservati e”protetti”.Se questi ultimi vengono trasferiti nelle abitazioni dei lavoratori essi rappresenterebbero un risparmio per il datore ma un aggravio per il lavoratore stesso, costretto in molti casi a dei cambiamenti
abitativi, con l’aggiunta magari di una ulteriore non trascurabile implicazione in quanto freno allo sviluppo della famiglia stessa (leggi: nascite).

Una ricaduta quindi anche sull’aspetto urbanistico delle città, soprattutto se si pensa ad un territorio come l’Alto Milanese, dove intorno alla Metropoli gravitano importanti città, come Busto, Legnano, Gallarate, che travasano sulla prima un importante pendolarismo che verrebbe così in parte trattenuto nei luoghi di residenza,con un evidente vantaggio commerciale per questi ultimi , sia in termini di consumi che in termini di mercato edilizio residenziale, ma con un parallelo danno per la Metropoli , basti pensare al calo della ristorazione causato dalla diminuzione delle presenze nel momento della pausa pranzo.

Un minor pendolarismo rappresenterebbe alla voce “trasporti” un vantaggio per il bilancio dei lavoratori , ma comporterebbe una contestuale mortificazione per quello delle Agenzie di trasporto sia ferroviario sia stradale. Un minor pendolarismo potrebbe anche alleviare i disagi di alcune delle attuali carenze nella qualità dei servizi di trasporto offerti, senza però risolverle, in quanto la diminuzione degli incassi ridurrebbe a medio termine le risorse disponibili per le già deficitarie manutenzioni e per i necessari sviluppi, sia dei trasporti su ferro che autostradale. Senza dimenticare la diminuzione degli incassi comunali per servizi di parcheggio presso le stazioni ferroviarie.

Meno traffico autostradale ridurrebbe probabilmente le fonti di inquinamento e le problematiche infortunistiche, con vantaggi su costi assicurativi; contestualmente però si ridurrebbero i consumi di carburante, creando difficoltà al già asfittico settore distributivo e alle casse statali che con le elevate accise hanno sempre fatto quadrare i propri conti.

Se fin’ora abbiamo cercato di individuare gli impatti economicamente più significativi dello smart working, non meno rilevanti sono quelli sociali , in particolare se visti connessi alla presenza presso la propria abitazione di almeno uno dei due componenti genitoriali della famiglia.
Una maggior elasticità nella gestione del proprio tempo può sicuramente rappresentare una migliore e più attenta gestione del gruppo famigliare, in particolare per quanto riguarda i figli minori, i genitori anziani, o i componenti portatori di qualche fragilità. Non può essere naturalmente in tutti i casi una soluzione dei problemi, ma certo una facilitazione e in qualche caso anche un risparmio economico sia per la famiglia che per la comunità, in ragione dei minori servizi richiesti.

Dopo aver cercato di individuare alcuni pro e alcuni contro , senza aver la pretesa di averli al momento esauriti, pensiamo vada esaminata ora quell’area totalmente soggettiva che per alcuni, e pensiamo non pochi, può contenere quelle motivazioni che non consentono loro di accettare questa metodologia di lavoro, perché ostativa di alcune libere scelte personali.

Sono motivazioni , come abbiamo detto, del tutto personali, alcune magari difficili da esprimere senza svestirsi di ogni ipocrisia, ma sicuramente tali che negarle sarebbe oltraggioso per le libertà individuali già abbondantemente mortificate in questo periodo di restrizioni.
Ci riferiamo a tutta quell’area di rapporti sociali che si creano e si intrecciano negli ambiti lavorativi, che sono fonte di crescita personale e professionale e che servono a valorizzare attitudini caratteriali che portano allo sviluppo e alla progressione professionale di un individuo, il quale , con il distacco fisico dello SW, verrebbe valutato in maniera del tutto asettica e “quantitativa”.

Ci riferiamo inoltre a quelle situazioni nelle quali le condizioni logistiche, la composizione del gruppo familiare, lo stato dei rapporti interpersonali ed altro, non consentano una corretta coesistenza di “casa e bottega”, se non con li forte rischio di un deterioramento della serenità familiare.

Ed infine, ma non meno importante, ci riferiamo anche a quelle situazioni per le quali il lavoratore o la lavoratrice, a suo insindacabile e legittimo giudizio, considerano l’impegno lavorativo esterno un importante momento di alternanza con gli impegni familiari, per lo stimolo personale derivante, per i rapporti esterni creatisi o per altre considerazioni ,del tutto private, ritenute rilevanti per l’ equilibrio familiare.

Concludendo, riteniamo che lo smart working non possa più essere osservato da lontano e considerato un problema a venire, ma una realtà che solo altre preoccupazioni contingenti tengono per il momento in secondo piano. Abbiamo voluto fornire un seppur modesto contributo alla riflessione, ma nel contempo evidenziare un complesso di ricadute, problemi, positività e negatività che ci lasciano per ora un’unica certezza: lo smart working è una ineludibile realtà che per il suo corretto ed importante sviluppo dovrà però essere considerata con rispetto di tutte le sue implicazioni, dovrà essere opportunamente regolamentata, dovrà essere accettata e mai imposta.

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