Busto, la scelta di Ivan: «Da ingegnere fidanzato a sacerdote. Sarò missionario»

busto ivan straface sacerdote

BUSTO ARSIZIO – Ivan, sacerdote e missionario Pime a 30 anni: «Studiavo Ingegneria ed ero fidanzato. Poi sono andato volontario in Guinea un mese da Padre Fumagalli e ho capito che quella è una gran bella vita: dedicare interamente se stessi agli altri». Ivan Straface, 31 anni, di Busto Arsizio, ordinato prete a giugno 2020 dopo averne passati 6 nel seminario del Pime a Monza.

Papà muratore e mamma impiegata in un aeroporto, Ivan spera di essere mandato in Asia: «Mi affascina una cultura completamente diversa dalla nostra». Al momento è in servizio qui, dove si svolgono numerose attività sia per sostenere le missioni lontane sia per fare apostolato in Italia.

Fino ai 18 anni non ero religioso

Ivan racconta di aver iniziato a pensare alla missione dopo aver passato un mese come volontario in Guinea, nella Parrocchia di Padre Fumagalli, un «Brianzolo concreto, perfino duro, un missionario d’altri tempi e d’altra tempra. Una volta in uno dei Notiziari che scriveva puntualmente, ho letto questo resoconto, risalente agli Anni 70: Mi sono infilzato un piede e sono a letto, sono solo, non vedo confratelli da tre anni. Non so quanto potrò andare avanti. E ne sono passati quaranta. La sua dedizione totale, il suo aver donato la sua intera vita mia affascinò e quando tornai in Italia iniziai a farmi delle domande. Fino ai 18 anni non ero religioso – racconta Ivan in una nota diffusa dal Pime – Poi un amico mi portò a fare l’animatore in parrocchia e mi piacque l’ambiente. Frequentai anche un campo di lavoro estivo. Ero fidanzato, studiavo ingegneria fisica. Ho fatto una tesi su una sonda spaziale. Mai avrei pensato di diventare sacerdote. Alla fine però vedendo persone che spendono la loro esistenza per gli altri, senza palcoscenico, nella umiltà più completa: percorsi che fanno fiorire l’umanità. E la loro mi è sembrata una vita bella. Ho capito che non mi sarebbe bastato fare il missionario laico. Ci ho pensato un anno. Poi ho capito che volevo proprio dedicare alla missione tutto me stesso».

Amore e cura per gli altri

I genitori restano sbalorditi, ma non ostacolano: «Non sono granché preparati in materia. Mio padre mi chiedeva: allora quando lo metti il saio? Ma mica mi volevo fare frate». Il Seminario è stato una esperienza positiva: «Quelli del Pime sono diversi, sono internazionali. Comunque il format educativo la Chiesa lo sa che è da rivedere. Risale al 1500». Che cosa si aspetta dal servizio in altri continenti e contesti? «Sogno anche lo stile di missione, non eroico magari ma fatto di amore e cura, una vita comunitaria; non siamo più avvezzi a certe solitudini. I vecchi missionari erano personalità carismatiche. Non mi vedo a tenere una parrocchia, mi vedo più accanto alla fragilità non solo materiale».

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