Busto, Gino Savino (UniAscom): «Le feste di quartiere ormai sono un business»

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BUSTO ARSIZIO – “Sono feste o sagre che dir si voglia, oppure business?”. Il problema, sotto forma di quesito, lo pone Gino Savino, vice presidente di Fipe UniAscom Varese e che, a Busto (e non solo) è conosciuto in quanto proprietario del mitico ristorante – pizzeria Capri.

Altro che patatine e salamella

L’argomento è di quelli che creano dibattito e fa discutere. Ma è bene premettere che la presa di posizione di Gino Savino non è contro le feste e le sagre. «Anzi – dice il vicepresidente UniAscom – queste iniziative continuano ad avere un ruolo fondamentale sotto il profilo aggregativo». Il problema è un altro. O più di uno: dalla durata di alcune di queste feste che vanno avanti per più settimane, al fatto che ormai il menù non è più limitato al pane con salamella, patatine e birra media. «Credo che in alcuni casi – interviene Savino – si può parlare di veri e proprio ristoranti all’aperto. E questo a tutto svantaggio dei locali pubblici della città, che non stanno certo attraversando un ottimo periodo».

Sagre vs commercio

«La realtà parla di un settore, quello della ristorazione e dei pubblici esercizi, in grande difficoltà – argomenta Savino – La concorrenza è molta è questo di per sé è l’ultimo dei problemi. Poiché, cosa che non si tiene sempre in considerazione, chi ha o gestisce un’attività di questo tipo deve attenersi, giustamente, a una serie di norme e regolamenti che, tradotti nella realtà di un locale, significano investimenti. In più abbiamo anche quella che ormai è diventata una concorrenza “esterna”, ovvero le così dette sagre o feste di quartiere. Che non durano più un fine settimana, ma sono prolungate nel tempo e anche durante i giorni lavorativi e diventano a tutti gli effetti posti in cui pranzare o cenare. Gli organizzatori di questi appuntamenti però non hanno tutta una serie di obblighi burocratici e sanitari da assolvere».

Fare del bene o fare business?

Savino poi mette il dito in un’altra “piaga”. «Credo sia giunto anche il momento di porre sul tavolo un altro tema su cui riflettere – prosegue il vicepresidente –  Non discuto il fatto che queste iniziative abbiamo quale motore dell’impegno di tutti la volontà di fare del bene o solidarietà. Però bisogna essere anche realisti: quando una di queste feste va avanti per tre settimane, non si può più parlare solo di iniziativa solidale. A quel punto è chiaro che è anche business. C’è un investimento iniziale che per forza di cosa deve essere coperto».

«Noi indifesi. Serve una regola»

«Davanti a queste situazioni – continua Savino – la categoria è indifesa, nel senso che non abbiamo altra possibilità se non quella di subire una concorrenza che, per tutta la durata dell’iniziativa, è sbilanciata a nostro sfavore. E non lo dico solo io da vicepresidente, ma anche i proprietari o gestori di attività che hanno ristoranti o bar nei quartieri in cui si tengono le feste. Insomma, serve una regola. In tutti i sensi. Ovvero non è possibile che ci sia una festa che dura settimana e un’altra che invece va avanti pochi giorni. Credo si debba arrivare a trovare soluzioni che da un lato non danneggino chi organizza queste iniziative e dall’altro garantiscano chi sceglie di fare ristorazione o aprire un bar, non per beneficenza, ma per lavorare».

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