Carceri, tra sovraffollamento e diritto al sussidio di disoccupazione

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MILANO – In un mondo carcerario terribile – in base ai dati dell’associazione Antigone al 28 febbraio 2021 i detenuti in Italia sono 53.697 e le strutture insufficienti, degradate e la condizione complessiva di chi vi vive non lontano da una forma di tortura – una buona notizia per chi vive dietro le sbarre. Anche i detenuti che hanno lavorato all’interno del carcere, per l’amministrazione penitenziaria, hanno diritto a ricevere la Naspi, cioè il sussidio di disoccupazione, quando restano senza impiego. E’ il principio sancito dal Tribunale del lavoro di Milano, che ha condannato l’Inps a versare l’indennità di disoccupazione a un carcerato assistito dalla Cgil. Ne ha dato notizia, nei giorni scorsi, il giornalista Andrea Gianni sul quotidiano Il Giorno.

Il detenuto aveva lavorato in carcere per quasi due anni come addetto alla consegna e alla gestione della spesa e come cuoco. “Va osservato che la peculiarità del lavoro penitenziario non può consentire l’introduzione di un trattamento differenziato tra i detenuti e gli altri cittadini in materia di assicurazione contro la disoccupazione”, si legge, tra l’altro, nella sentenza. Il Tribunale, inoltre, evidenzia che “il lavoro penitenziario alle dipendenze del ministero della Giustizia e quello libero subordinato sono assimilabili: pertanto non possono sussistere ragioni per escludere il diritto alla Naspi qualora ricorrano i presupposti previsti dalla normativa specifica”. Una sentenza che, per la Cgil, scrive “una pagina importante per la dignità del lavoro e per il riconoscimento di una funzione realmente rieducativa della pena”.

Certamente è un pronunciamento importante anche se nel nostro Paese non esiste il cosiddetto ‘diritto delle corti’, cioè le decisioni della magistratura non sono assimilabili alle leggi. Di sicuro però è fondamentale che un carcerato si veda riconosciuto un diritto eguale a un normale dipendente sia dal punto di vista economico, quindi materiale, ma anche da quello psicologico.

Ma qual è la condizione generale dell’universo carcerario? Il rapporto Antigone dice che negli ultimi 12 mesi i detenuti sono 7.500 in meno, anche per tutte le pene alternative applicate in maniera più ampia per il Covid che in ambienti ristretti avrebbe potuto provocare una strage nella strage, ma il sovraffollamento è ancora inaccettabile e i numeri sono ritornati a salire. “Si tratta di un anno tragico che ha rivoluzionato il modo di essere delle persone libere e di quelle detenute – è scritto nell’ampio studio -. Il sovraffollamento da condizione oggettiva di trattamento degradante è diventato anche questione di salute pubblica”. Si è comunque molto al di sotto delle cifre pre-pandemia: i carcerati erano 61.230 il 29 febbraio del 2020, a pochi giorni dalla scoperta del paziente zero di Codogno (Lodi). L’Italia non era ancora in lockdown. Dunque in un anno il calo è stato pari al 12,3% del totale.
Il numero delle carceri è rimasto lo stesso, 189.  Il tasso di sovraffollamento è oggi pari al 106,2%. Posto però che la stessa amministrazione penitenziaria riconosce formalmente che “il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato” e che presumibilmente i reparti chiusi potrebbero riguardare circa 4 mila posti ulteriori il tasso effettivo, seppur non ufficiale di affollamento, raggiunge il 115%. Dunque – viene sottolineato nel focus – per poter scendere fino al 98% della capienza ufficiale regolamentare, considerata in alcuni Paesi la percentuale fisiologica di un sistema che deve sempre prevedere la disponibilità di un certo numero di posti liberi per eventuali improvvise ondate di arresti o esecuzioni, sarebbe necessario “deflazionare il sistema di altre 4 mila unità che diverrebbero 8 mila alla luce dei reparti transitoriamente chiusi”.

La parziale riduzione della popolazione detenuta intervenuta nell’ultimo anno non ha cambiato le proporzioni tra stranieri e italiani. I primi oramai da alcuni anni si attestano al 32,5% del totale dei detenuti. Ovviamente la qualità della vita in carcere dipende molto dai tassi di sovraffollamento. E’ interessante conoscere i numeri di coloro che scontano misure non detentive. Al 15 febbraio 2021 sono 61.589 le persone, di cui 6.961 donne, che sono in esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, sanzione sostitutiva, libertà vigilata, messa alla prova, lavori di pubblica utilità: 16.856 in affidamento in prova ai servizi sociali, 11.788 in detenzione domiciliare, 752 in semilibertà (queste ultime grazie a provvedimenti normativi diretti a limitare i rischi del contagio sono state per lunga parte dell’anno autorizzati a non rientrare in istituto la notte). Da sottolineare le ben 8.828 persone sottoposte a lavori di pubblica utilità, la quasi totalità delle stesse per violazione del codice della strada. Ben 18.936 persone sono invece in stato di messa alla prova.

La fotografia di Antigone è importante, la sentenza del Tribunale di Milano pure. E’ giusto essere puniti se si commettono reati, ma la detenzione deve essere umana e indirizzata al reinserimento. E’ possibile. E’ questa la strada.

Angela Bruno

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