Concentrati sulla crisi ucraina, ma lo sguardo va ad Oriente

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, a noi sembra che la guerra in Ucraina sia il peggiore dei mali. Ma è davvero così? Vi sono altre aree del pianeta che possono destare gravi preoccupazioni? Evidentemente sì e l’Indo-Pacifico è certamente una di queste.

La partecipazione alla riunione della NATO, tenutosi recentemente a Madrid, dei vertici militari di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda alimenta una notevole preoccupazione circa il suo impegno operativo nell’Indo-Pacifico a causa della politica della Cina che appare piuttosto aggressiva. Il report della “NATO 2030” a seguito del vertice di Londra del 2019 che sollecitava di approfondire proprio le relazioni con i partner della regione indo-pacifica e l’invito a partecipare al vertice di Madrid indica come la NATO si stia muovendo in questa direzione. Nel contesto dell’alleanza atlantica si parla apertamente di sfida cinese “sistemica”.

Dovete sapere che recentemente è stato rivitalizzato il QUAD, Quadrilateral Security Dialogue, tra India, Giappone, Australia e Stati Uniti, istituito per la prima volta nel 2007-2008. Ma la preoccupazione per la crescente influenza cinese nella regione, molto sentita nel Paese dei ciliegi in fiore, è cresciuta da quando la disputa territoriale su alcune isole del mar Cinese orientale (note come Sukaku in Giappone e Diaoyutai in Cina) è esplosa nel 2010. Già nel novembre 2017 il QUAD si era ritrovato a Manila a margine dei summit dell’ASEAN (l’associazione degli Stati del sudest asiatico). Quest’anno, a giugno, gli alleati si sono incontrati a Singapore intorno al tema “Indo-Pacifico libero e aperto” ed hanno evidenziato il loro status di grandi e libere democrazie impegnate nella regione.

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Ivanoe Pellerin

L’oceano Indiano copre un quinto della zona oceanica mondiale, vi si affacciano quasi 50 Paesi, ha collegamenti con l’Atlantico e il Pacifico ed è di vitale importanza commerciale, politica e strategica per l’India. New Delhi, preoccupata dell’assertività della Cina sul piano economico e militare, si opporrebbe allo sviluppo della Nuove Via della Seta di Pechino e guarda con inquietudine al rafforzamento dell’asse Cina-Pakistan, suo eterno rivale. Anche l’Australia ha grosse difficoltà di fronte alla volontà egemonica cinese nel Pacifico. New Delhi e Canberra hanno recentemente deciso uno stretto rapporto attraverso i segretari della Difesa e degli Esteri. Dalle priorità che l’Australia si è data, si percepisce che il paese sarebbe intenzionato ad una alleanza con Stati Uniti, India e Giappone, con una visione condivisa sui problemi della regione.

Un discorso simile si può fare anche per il patto “Aukus”, annunciato il 15 settembre 2021. Proprio come il Quad, l’Aukus rappresenta un meccanismo di sola sicurezza formale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, poiché è privo dell’impegno alla difesa comune. Si tratta di una partnership trilaterale che va a sovrapporsi ad iniziative ed alleanze già esistenti. L’Aukus vuole promuovere il processo di integrazione e di interoperabilità dei tre partner in campi specifici: in particolare la condivisione di intelligence, lo sviluppo congiunto di tecnologie d’avanguardia e militari e di intelligenza artificiale ed anche la dotazione di sottomarini a propulsione nucleare all’Australia. Pechino si è molto allarmata per questo fatto ed ha manifestato toni molto duri a fronte di questo accordo.

Il 23 maggio scorso è stata lanciata da Tokyo l’iniziativa Indo-Pacific Economic Framework che si incentra su quattro temi principali: economia digitale, resilienza delle catene di valore, energia green, lotta alla corruzione. Si pensi ad esempio alla centralità di Taiwan per la fornitura dei semiconduttori. Tanto per chiarire, se Taiwan non fosse in grado di continuarne la produzione le nostre comunicazioni si fermerebbero e non solo le comunicazioni. Come ben sapete, i microchips sono dappertutto. Secondo il Taipei Times, Taiwan ambirebbe a partecipare al framework economico avanzato da Biden e avrebbe tutti i requisiti per accedervi. Al momento Washington preferisce portare avanti la collaborazione con l’isola in campo economico solo a livello bilaterale. Gli USA vogliono mostrare cautela per evitare l’aggravarsi delle tensioni con Pechino.

In più di una occasione Joe Biden, rispondendo ad alcune precise domande, ha lasciato intendere che gli Stati Uniti sarebbero pronti ad intervenire direttamente in difesa di Taiwan in caso di attacco cinese (dichiarazione corretta dopo qualche minuto dalla Casa Bianca) e questo ha fatto parlare di una “ambiguità strategica” che sempre ha contraddistinto l’atteggiamento USA sul problema Taiwan. Tutto sommato potrebbe essere non una gaffe, ma una risposta calcolata.

Dietro alla supposta ambiguità strategica vi è infatti la duplice necessità di dissuadere da un lato un’azione di forza cinese, dall’altro una dichiarazione d’indipendenza taiwanese troppo forte. Tuttavia un intervento militare in caso di una crisi a Taiwan non sarebbe così improbabile. Nel corso dell’ultimo decennio, i legami tra Washington e Taipei si sono approfonditi. Taiwan è ben vista dall’opinione pubblica americana. Inoltre un mancato intervento sarebbe in contraddizione con l’intera Asia Policy di Washington e avrebbe gravi ripercussioni sulla posizione degli USA in Asia. Un intervento militare americano sarebbe ancora più probabile se accompagnato dal supporto degli altri alleati americani della regione. Primo fra tutti il Giappone che sembra stia lavorando proprio con Washington alla stesura di un piano operativo nella prospettiva di uno scenario di guerra nello stretto di Taiwan.

La classe politica giapponese si è espressa più volte a favore di Taiwan, sottolineando come una crisi in quest’area sarebbe interpretata come una minaccia alla sicurezza e alla stabilità del paese. L’uso della forza da parte di Pechino contro Taiwan produrrebbe l’attivazione delle forze di autodifesa del Giappone. Sotto la guida del premier Abe Shinzo, sono già state intraprese una serie di riforme che hanno permesso un ampliamento delle capacità militari del paese. In più occasioni la leadership giapponese ha espresso molte preoccupazioni riguardo ad una possibile crisi per Taiwan, soprattutto dopo l’avvio del conflitto ucraino. Il primo ministro Kishida e altri rappresentanti del governo di Tokyo hanno parlato in più occasioni del rischio che possa aver luogo anche in Asia un conflitto armato simile a quello ucraino. La percezione, che sembra prevalere, è che il Partito Comunista Cinese parrebbe più risoluto e determinato a portare a termine la riunificazione con l’isola di Taiwan. Per Tokyo l’interrogativo principale non è se Pechino attaccherà, ma quando ci sarà l’invasione.

Cari amici vicini e lontani, come potete constatare le preoccupazioni per le vicende del mondo sono molte e distribuite in molte aree del pianeta. Gli uomini saranno così stolti da scatenare un’altra crisi dall’esito davvero molto incerto per le sorti dell’umanità? Mi auguro che ciò non sia,

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