Coronavirus: sindaci in prima linea, governo in ritardo

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I numeri sono impietosi. Presi così, rischiano di spegnere persino la speranza. Anche per il sospetto che siano numeri per difetto, che la conta dei contagiati sia incompleta, non dica tutta la verità sulle persone positive al virus e sulle persone decedute. Un disastro. Al quale possiamo, anzi, dobbiamo reagire, resistendo. Perché finirà, prima o poi, questa immane tragedia. Certo, che finirà. In trincea, dentro le nostre case, ci siamo tutti. Una guerra da combattere con l’inusuale arma della pazienza, in attesa che i provvedimenti delle autorità producano finalmente gli effetti desiderati.

Una trincea che si estende, comune per comune, nei Municipi. Lì, sono i sindaci a essere in prima linea, chiamati a uno sforzo imprevisto quanto imprevedibile, faticoso e a un tempo carico d’ansia. Sono loro a conoscere la verità vera. Non certo dai comunicati ufficiali della Protezione civile e degli enti della sanità pubblica, spesso incompleti proprio per l’impossibilità ad avere tutto sotto controllo in tempo reale, ma per i contatti diretti con i cittadini, per le notizie che ricevono ora per ora, per tutto quello che vengono a sapere e che non farà mai statistica.

Primi cittadini chiamati a gestire un’emergenza senza precedenti, con le preoccupazioni, più spesso le paure, che dilagano in maniera endemica nelle comunità. Senza che si possa fare argine e, a volte, senza trovare concreti motivi di conforto e soluzione ai singoli problemi. Per di più a fronte di gruppi di persone indisciplinate quanto irresponsabili, insofferenti alle limitazioni, quasi che il coronavirus riguardasse soltanto gli altri. Non è un caso che anche dai sindaci fosse arrivata la pressante richiesta, anzi, l’appello a chiudere tutto, unica soluzione per risolvere, quanto meno per attenuare l’espandersi dei contagi. Una domanda, la loro, che si è affiancata a quella dei governatori di Lombardia e Veneto, i primi a capire che bisognava agire in modo drastico. Un pressing sul governo che soltanto ora, certamente in ritardo, ha deciso di assumere misure più restrittive, ultima diga al Covid-19. Con un presidente del Consiglio che annuncia i nuovi provvedimenti nella tarda serata di sabato, come se volesse rincorrere e sovrapporsi ad Attilio Fontana, che lo aveva anticipato di qualche ora nelle stesse decisioni per la Lombardia.

L’epidemia sta trasformando, anzi, ha già trasformato la nostra vita. La virologa Ilaria Capua afferma che si tratta di un evento epocale, a livello mondiale. L’obiettivo è che non lasci soltanto macerie. Anche nelle singole città come nei centri più piccoli. Dove sono appunto i primi cittadini a dover farsi carico del peso sociale prima che amministrativo di quanto sta accadendo. Tocca a loro gestire uno scenario che sta incidendo a fondo nella collettività, negli animi, nei cuori e nelle menti della gente. Il loro è un compito gravoso, soprattutto se l’epidemia si prolungherà a lungo. Appunto per questo è necessario che alla fine di tutto non ci siano soltanto macerie, ma che si possa ripartire da basi sicure. Se di base sicure si può parlare allo stato delle cose. Il punto è capire se un sindaco, da solo, senza il più ampio sostegno e la massima collaborazione, sia nelle condizioni di assumersi tali incombenze civiche. Importanti, se non allo stesso modo decisive delle incombenze sanitarie, ora prioritarie per ovvie ragioni, che vedono in primissima linea medici e operatori sanitari, che non è affatto retorico definire “nuovi eroi”.

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