Dai riti voodoo in Togo, alle prigioni libiche: Yao ora vive libero a Busto

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BUSTO ARSIZIO – A molti può sembrare un insignificante pezzo di carta, il permesso di camminare per la strade di Busto Arsizio, di cercare lavoro, di avere una casa: tutte cose che spesso si danno per scontate, ma per Yao Koudoufio questo pezzo di carta è tutto ciò che attendeva da oltre 2 anni. E’ il risultato di una sentenza del tribunale che gli garantisce la protezione internazionale. «Erano anni che cercavo di ottenerla, ma non sapevo come fare, a chi rivolgermi. Poi ho incontrato i volontari di Casaringhio e finalmente abbiamo vinto il processo e ora posso tornare a vivere», dice Koudoufio emozionato.

Una storia che inizia in Togo

La storia di Yao Koudoufio è una delle migliaia di storie di molti africani che cercano una vita migliore, che scappano dal proprio paese e che spesso si trovano intrappolati in un sistema burocratico difficile da districare. Koudoufio è nato in Togo, uno stato dell’Africa occidentale affacciato sul Golfo di Guinea e lì la sua vita era tutt’altro che ordinaria. «Mio nonno era il capo del villaggio e alla sua morte aveva indicato me come successore», racconta Koudoufio nel piccolo appartamento a Busto Arsizio dove ora vive.

Sacrifici voodoo

Koudoufio non voleva guidare il villaggio, ma questa opzione non era per nulla contemplata dalla sua famiglia, che lo ha quindi rinchiuso in una capanna al buio per giorni per poi sacrificarlo con un rito voodoo. «Mi avrebbero fatto morire lentamente, per versare il sangue di un traditore», spiega Koudoufio ricordando la paura del momento. Sembrava non esserci via d’uscita, eppure un bagliore di speranza brillò in quel buio.

L’incubo della Libia

«E’ stato mio zio a salvarmi. Una notte è venuto in mio aiuto e mi ha fatto scappare. Sono corso via, senza guardami indietro e non sono più tornato nel Togo. Non potrei farlo, o mi ucciderebbero». Da lì è iniziata un’altra avventura, quella attraverso l’Africa per raggiungere la Libia, dove Koudoufio sperava di trovare lavoro. Ma, purtroppo, i racconti disumani che spesso si sentono sono tutti veri. «Non potevo nemmeno camminare per strada liberamente. Se mi vedevano mi picchiavano, mi rubavano tutti i soldi e mi arrestavano».

Il racconto di un inferno, dal quale Koudoufio è riuscito a scappare grazie a un signore per il quale lavorava, in pratica a titolo gratuito, che gli ha però dato una possibilità: «Vuoi tornare al tuo paese e morire o andare in Italia?», gli ha chiesto. Koudoufio non ci ha pensato due volte: è salito su un barcone con altre 170 persone circa e ha affrontato un lungo viaggio in mare, vedendo davanti ai suoi occhi persone affogare e morire. Ma lui ce l’ha fatta.

Una volta arrivato in Sicilia, Koudoufio è stato ospitato in alcuni centri di accoglienza a Bologna, poi a Piacenza, dove ha perso un dito in una lotta con un altro rifugiato molto violento. Uno scontro che non gli è costato solo il dito, ma anche il suo posto nel centro di accoglienza. «Non sapevo dove andare, non conoscevo nessuno e quindi ho chiamato un amico di vecchia data che viveva qui a Busto e perciò sono arrivato qui. Ma senza protezione internazionale non potevo lavorare, né avere un contratto regolare».

Protezione internazionale

Koudoufio non sapeva a chi appoggiarsi, dato che non esiste una vera e propria rete di supporto per migranti o rifugiati. «Ero contento di essere in Italia, ma le persone mi guardavano male, pensavano che fossi cattivo e non riuscivo a dormire perché ero terrorizzato all’idea di non avere i documenti». Ma poi un barlume di speranza. Gli assistenti sociali gli parlano dell’associazione CasaringhioKoudoufio si mette in contatto con una delle volontarie, Sara Vega. «Abbiamo subito parlato con l’avvocato Milena Ruffini e da lì sono partite tutte le pratiche per richiedere la protezione internazionale che siamo finalmente riusciti a ottenere lo scorso 13 aprile».

Una nuova vita, con un lavoro vero, dato che a Koudoufio è stato promesso un vero contratto all’Old Wild West. «Non immaginate quanto sia felice. Da solo non ce l’avrei mai fatta, quindi non posso che ringraziare l’associazione Casaringhio», conclude Koudoufio. Che ha infatti fatto volontariato per l’associazione, ottenendo quindi tutte le referenze e i documenti necessari per vincere il processo.

Aaa cercasi volontari

«Ci teniamo a ribadire che noi aiutiamo chiunque abbia bisogno, non facciamo distinzioni, ciò che conta è il supporto», spiega Sara Vega, che però lancia anche un appello. «In primis serve una rete di supporto per queste persone, perché è davvero difficile giostrarsi in questo modo senza aiuto. E poi – aggiunge in chiosa – anche noi abbiamo bisogno di una mano, perché da soli non riusciamo a rispondere alle esigenze di tutti, quindi siamo alla ricerca di volontari che condividano la nostra passione di fare del bene».

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