Dei delitti senza pena

novik cartabia riforma

di Adet Toni Novik*

2 novembre. Commemorazione dei defunti. Di regola è un momento di riflessione e di ricordi. Però oggi c’è una dipartita (temporanea?) che accolgo con soddisfazione. Quella della Riforma Cartabia del diritto penale. Una riforma che per me, che nel mio percorso ho sempre cercato di coniugare Legge e Giustizia, in molte parti è un obbrobrio, per certi versi insensibile alle esigenze di difesa sociale, perché spezzando la correlazione che ci deve essere tra il delitto e la pena viene meno alla funzione di deterrenza propria del diritto penale.

Ci sono le pene perché ci sono i delitti, ma, simmetricamente, dove è un delitto ci deve essere una pena. La Riforma Cartabia invece si muove in un’ottica distorta, avulsa dalla realtà quotidiana in cui vive il comune cittadino, alle prese con una criminalità predatoria, diffusa e cattiva. Chi l’ha pensata, probabilmente, aveva di vista la parabola del lupo cattivo che si ammansisce dopo la carezza di San Francesco. Qualcuno pensa veramente che mettendo la mano sulla testa del delinquente professionale ottiene una rapida conversione? Avendo come uno degli obiettivi del PNRR la velocizzazione dei processi si è pensato di ottenerla tramite la riduzione del numero dei reati. Come se per eliminare il guasto fosse sufficiente spegnere la spia che lo segnala. Sono diventati così procedibili a querela reati gravi come il sequestro di persona semplice, punito con pena da sei mesi a otto anni; la violenza privata non aggravata, punita fino a quattro anni; la violazione di domicilio anche aggravata con violenza sulle cose, punita con pena da due a sei anni; il furto aggravato con violenza sulle cose o portando armi (in pochi casi il furto è perseguibile d’ufficio).

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Adet Toni Novik

La degradazione da reati procedibili d’ufficio a reati perseguibili a querela non è priva di conseguenze, ma è rilevante sotto due aspetti: in primo luogo perché, interessando per definizione solo la persona che deve presentare la querela, essi diventano reati di serie B), da trattare in via secondaria rispetto a quelli che riguardando la collettività sono procedibili d’ufficio. Subiranno quindi gli effetti della prescrizione e della improcedibilità. In secondo luogo, perché tra questi rientrano reati come il sequestro di persona che consente l’emissione di una misura cautelare personale, anche carceraria, con la conseguenza, mai verificatasi in precedenza, che il querelante può far cessare la eventuale detenzione rimettendo la querela. Fatto questo denso di riflessi: si pensi alle pressioni che potranno essere esercitate sulla vittima del sequestro per ottenere la remissione della querela o, al contrario, le pressioni che la vittima potrà esercitare sull’imputato anche per conseguire vantaggi non dovuti.

Come esempio della singolarità, ricordo che anche la violenza sessuale è perseguibile a querela della vittima, ma la querela, una volta presentata, è irrevocabile. Siamo poi sicuri che dopo la remissione della querela, il soggetto sottoposto a detenzione non possa richiedere l’indennizzo per ingiusta detenzione? Al danno si aggiungerebbe la beffa.

Andiamo avanti e spostiamo lo sguardo sul versante processuale. Nella Relazione annuale 2021 il Primo presidente della Corte di Cassazione così si esprimeva: “Rilevantissimo è il tasso di assoluzione per il decreto penale opposto dall’imputato (67,1% nell’anno giudiziario 2019/2020; 68,7% nell’anno giudiziario 2020/2021), sicché è lecito domandarsi quale sia l’effettiva utilità dello strumento monitorio….”. La Riforma Cartabia incurante di questa notazione incentiva il ricorso al decreto penale. Ancora, sulla citazione diretta il Primo Presidente rilevava: “Circa il 50% dei processi di primo grado introdotti dalla citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero (54,8% nell’anno giudiziario 2020/2021; 50,5% nell’anno giudiziario 2019/2020) si conclude con l’assoluzione, sicché, tenuto conto che la citazione diretta rappresenta, a sua volta, oltre i due terzi del carico di lavoro del tribunale monocratico (262.085 nell’anno giudiziario 2020/2021; 297.650 nell’anno giudiziario 2019/2020), deve concludersi per la necessità di un rinnovato impegno dell’ufficio del pubblico ministero nello svolgimento di indagini complete e di un serio ed effettivo filtro giurisdizionale per evitare un inutile dispendio di energie e di costi, oltre che, in primis, la pena derivante dal semplice fatto di essere sottoposti a processo”.

Cosa fa la Riforma? Aumenta il numero di reati per cui si procede a citazione diretta (estesa a gravi e complessi reati, come la truffa aggravata, appropriazione indebita, frode all’assicurazione, contrabbando), e introduce una udienza filtro speculare all’udienza preliminare prevista per i reati più gravi. Se non che, il fallimento dell’udienza preliminare è conclamato e riconosciuto anche dalla dottrina che ne ha auspicato l’abolizione. Le ragioni sono molteplici e le ho già elencate. Se non funziona per i reati maggiori, perché l’udienza filtro dovrebbe funzionare per quelli minori?

Riprendo ancora le parole del Primo Presidente sull’udienza filtro: “Ciò avverrà, tuttavia, a detrimento della concentrazione processuale e aggravando l’ufficio giudiziario della necessità di provvedere alla designazione di un altro giudice incaricato della trattazione della causa dopo la celebrazione dell’udienza pre-dibattimentale”. Si dice. Tutto cambierà perché adesso per il rinvio a giudizio non sarà sufficiente che: “gli elementi acquisiti risultano … non sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio”, ma sarà necessario che: “gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. Mi domando. Potrà un cambio di parole sovvertire uno schema collaudato, per cui se l’imputato non patteggia o non chiede il giudizio abbreviato, il giudice dispone il giudizio ordinario? Spesso richiesto dalla stessa difesa. Chi, e con quali parametri, valuterà che sin dall’udienza preliminare o da quella filtro non vi era la ragionevole previsione di condanna? Siamo nella sfera delle valutazioni e dell’imponderabilità. Il mancato raggiungimento della prova per condannare può conseguire anche a eventi imprevisti o ad incapacità dell’accusa. Certo la vita delle persone non può dipendere dalla scrupolosità o dal senso del dovere del singolo magistrato. Spetta al Sistema Giustizia assicurarlo.

Ultima chicca: in molte norme è prevista la documentazione di attività con: “l’utilizzo di mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non è possibile a causa della contingente indisponibilità di mezzi di riproduzione audiovisiva o di personale tecnico, con mezzi di riproduzione fonografica”. Il termine contingente si presta a molte interpretazioni. Quanto di contingente è divenuto stabile? Qualcuno ricorda che tra le accise sui carburanti vi sono ancora il contributo per il terremoto del Belice (15 gennaio 1968) o per la Guerra in Etiopia (1935-1936) o per la crisi di Suez (1956)?

Altro discorso riguarda l’esecuzione della pena. Ricordate lo slogan “certezza della pena”? Ne riparlerò più avanti.

*già magistrato della Corte di Cassazione