Al voto, al voto nonostante il Covid. E dopo?

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Nei giorni del voto non si possono pubblicare sondaggi né si può fare propaganda politica. Un divieto che andava bene qualche decennio fa, non certo nell’epoca di internet, dei social e di tutto quanto di tecnologico e non solo permette di raggirare l’anacronistica regola. Ma se non possiamo avventurarci nelle previsioni, nessuno ci impedisce di riflettere sul dopo. E, prima ancora, attorno alla domanda se avrà maggiore effetto sul contesto politico nazionale e locale l’esito del referendum o, invece, il risultato delle elezioni amministrative, sia le regionali sia le comunali. Il tutto al netto del Covid, che finirà per incidere sull’assenteismo più ancora dell’antipolitica o del diffuso disinteresse dell’elettorato per la politica.

Il Si o il No hanno senza dubbio valore istituzionale, in quanto si chiede agli elettori di approvare o respingere la legge di revisione costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Una piccola rivoluzione che va al di là della sostanza numerica, che implica la promulgazione di una nuova legge elettorale e, se si vuole, la modifica di rendite di posizione acquisite nel tempo. Chi è favorevole alla sforbiciata mette in conto anche i risparmi che ne deriveranno. Chi è contrario sostiene che il problema non si risolve riducendo il numero degli scranni e che, al massimo, siamo di fronte a un’operazione di principio, demagogica e, così come concepita, del tutto inutile. Ciascuno ha modo di valutare ragioni e torti. Di sicuro il nodo è anche, anzi, è soprattutto politico, riguarda la tenuta del governo e la credibilità che ancora hanno i Cinque Stelle, principali fautori della legge. Non è un caso che partiti all’inizio favorevoli al Sì abbiano via via cambiato atteggiamento, e, quanto meno ufficiosamente, si siano rischierati per il No. Usciamo dall’equivoco: l’obiettivo è, appunto, politico e tenta di colpire in primis il movimento di Grillo. Che cosa se no?

In capo a ciò ci sono le urne classiche, quelle che prevedono il rinnovo di una consistente manciata di esecutivi regionali e di un migliaio di Comuni, undici dei quali (dodici se consideriamo anche Legnano) sul nostro territorio. Benché siano in molti a ritenere queste elezioni un test parziale, che non influirà sul governo giallorosso, né sugli equilibri politici di specifiche aree della nazione (vedi Varesotto), un successo del centrodestra non potrà invece passare come l’acqua sul marmo. Per questo si dà, ad esempio, enorme importanza a quanto accadrà in Toscana, da sempre una regione rossa. E non ci si danna per il Veneto, avviato a riconfermare il dominio leghista. Una Toscana nelle mani della destra finirà per produrre conseguenze a Roma.

I Comuni, infine. Restiamo alla nostra provincia, dove proprio il centrodestra si presenta diviso a Luino e a Somma Lombardo. Sembrano tanto “prove tecniche” per il futuro prossimo, quando si voterà a Varese, Busto Arsizio e Gallarate. E sembrano tanto “prove” per contarsi, per stimare il peso politico dei singoli partiti dello schieramento, a cominciare dalla Lega per arrivare a Fratelli d’Italia e Forza Italia, tutti e tre con differenti motivi per cercare di fare bella figura. Ad esempio, quanto influiranno le inchieste giudiziarie ancora aperte? Ma poi, influiranno? E davvero Fratelli d’Italia è avviata al raddoppio dei voti? Infine, proprio sicuri che il centrosinistra sia perdente quasi dappertutto nonostante in alcuni casi si presenti frammentato alle urne? Ergo: prepariamoci alle sorprese.

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