L’infodemia, pericolosa come una pandemia

giacomo cavalli infodemia pandemia

giacomo cavalli infodemia pandemia L’informazione è uno strumento fondamentale nel nostro sistema democratico, ci permette di fare scelte consapevoli e di comprendere appieno questioni complesse, oltre che essere una finestra sul mondo esterno che ci circonda. Nell’epoca di internet tuttavia, il ruolo che era di esclusiva dei media ha visto differenziare le fonti, trasformando ogni cittadino in una potenziale testata giornalistica. In particolar modo, i social sono diventati strumento di comunicazione potente, e la stessa comunicazione dei mezzi di informazione tradizionali ha modificato i propri messaggi, riducendone in alcuni casi i contenuti per adattarsi ai tempi. Le famose chiacchiere da bar, come ci racconta Umberto Eco, hanno trovato nella rete un pubblico assai vasto.

La disinformazione, strumentale o semplicemente superficiale, è uno dei mali che affligge il nostro tempo. Essa sposta voti, consumi, genera rabbia e confonde le idee (caso emblematico il dibattito sul cambiamento climatico). La sua origine risiede in quelli strumenti di propaganda, usati in passato, tanto cari ai regimi dittatoriali. In tempi di coronavirus, è potenzialmente un pericolo immediato di vita e anche le aziende leader del comparto tecnologico, come Google, Amazon e Facebook, hanno deciso per un rapido giro di vite. Sicuramente una buona notizia ma questo non è che un (tardivo) inizio di un percorso tortuoso dove il ruolo dell’intelligenza artificiale gioca un peso specifico enorme.

Le istituzioni tuttavia devono mantenere un forte controllo su tale pratica. In realtà, questo è un tema che, per esempio, l’Unione Europea tratta già da diverso tempo ma senza mai riuscire a trovare la quadra tra la creazione di una barriera alle fake news e una limitazione della libertà di parola o di stampa. Ad ogni modo, oggi anche l’UE combatte la battaglia della disinformazione provando a lavorare insieme alle piattaforme online per prevenire e/o cancellare messaggi legati a pratiche illegali o a false cure per combattere il virus.

Altre istituzioni stanno agendo nella stessa direzione, utilizzando spesso le piattaforme social, quindi lo stesso campo, per combattere la battaglia delle fake news. Lo fa il WHO che ha dichiarato, per voce del suo Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, in data 15 febbraio, la guerra alla “infodemia” in aggiunta al COVID19. La stessa UNESCO, che include la lotta alla disinformazione come parte del suo mandato di organismo internazionale, ha creato un manuale d’istruzione ad hoc per i giornalisti, e combatte con vigore la battaglia attraverso la sua comunicazione istituzionale.

Il ruolo del cittadino tuttavia è centrale: ognuno di noi ha accesso alle informazioni, miriade di informazioni, che può trasformare, promuovere o attaccare a suo piacimento. Tale ruolo non è da sottovalutare perché funge da megafono, inconsapevole o meno, di determinate istanze.

L’ultimo caso di forte dibattito sulle misure di supporto da parte comunitaria è un chiaro esempio della distorsione creata da un utilizzo pernicioso o innocentemente superficiale dell’informazione. Difatti, il dibattito è centrato sul famoso “NO” olandese alla proposta italiana della mutualizzazione del debito (coronabond), ma il vero problema, se lo si osserva attentamente, consiste nell’architettura comunitaria e nel fatto che l’attuale sistema istituzionale dell’UE abbia dimostrato le sue debolezze, mantenendo ad esempio il metodo intergovernativo e l’utilizzo del diritto di veto su molte tematiche. Certamente, al di là dei giudizi e delle scuole di pensiero, trattarlo in maniera esaustiva prende tempo. Tempo tuttavia prezioso nella fase di risoluzione del problema.

Chiaramente, l’uso della disinformazione è una straordinaria arma nelle mani dei movimenti cosiddetti populisti o sovranisti, e viene sempre utilizzata per scopi tutt’altro che democratici o in linea con la libertà di stampa e di opinione.

L’uso politico della disinformazione è oggi più potente che mai, altro esempio lampante la campagna referendaria per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Risulta assai contestabile il contenuto dei messaggi diffusi dal fronte pro Brexit durante la campagna referendaria. Il più clamoroso, la costante ripetizione che l’uscita dall’UE avrebbe consentito al Regno Unito di risparmiare 350 milioni di sterline che il Paese “inviava” settimanalmente all’Unione Europea. Soldi che sarebbero invece stati più proficuamente impiegati nel mantenimento del sistema sanitario nazionale (National Health Service – NHS). Lo stesso Boris Johnson aveva cavalcato l’onda. Al di là del fatto che la cifra non corrisponde nemmeno alla metà dei soldi “netti” che Londra versava, quando poi sono stati effettivamente aumentati i fondi al NHS, è stato evidente che tali fondi non derivassero dal divorzio. Inoltre, causa virus, oggi il Parlamento inglese chiede che sia esteso il visto ai medici stranieri a tempo indeterminato (gli immigrati erano l’altro cavallo di battaglia del fronte leave).

In conclusione, i tre attori in campo hanno ognuno le responsabilità per combattere questo fenomeno: il mondo dell’informazione è in prima linea in questa specifica battaglia, le istituzioni pubbliche devono comunicare in modo corretto e permettere un funzionamento del sistema con leggi adeguate, garantendo la libertà ma collaborando il più possibile con i media, tuttavia sono i cittadini ad avere in mano le sorti dell’informazione. Difatti, nel mondo occidentale, le informazioni sono alla portata di (quasi) tutti, tentare di andare oltre i 280 caratteri e provare ad approfondire un concetto prima di farlo proprio o condividerlo migliora automaticamente la qualità dell’informazione. Cittadini consapevoli orientano le loro scelte obbligando il mercato e le istituzioni a seguirli. D’altronde, sono i cittadini che leggono le informazioni ed eleggono i propri rappresentanti, un potere da non sottovalutare.

Giacomo Cavalli 
(Sustainability Manager di Media Trade Company)

giacomo cavalli infodemia pandemia – MALPENSA24