Giorgetti: «Qui vedo una Lega seduta. Ritroviamo l’entusiasmo delle origini»

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CASTIGLIONE OLONA – La Lega va a gonfie vele. Lo dicono le piazze di tutta Italia piene di gente quando parla Matteo Salvini. Lo dicono i sondaggi e le sensazioni. Ma Giancarlo Giorgetti, sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Castello di Monteruzzo, spiazza tutti: «Qui, dove siamo nati, dove abbiamo una storia lunga trent’anni vedo una Lega con la pancia piena. Seduta. E proprio in questo momento, che siamo a un passo dall’ottenere ciò che abbiamo sempre voluto, ovvero l’autonomia, dico che dobbiamo ritrovare l’entusiasmo di quando eravamo numericamente più piccoli e avevamo “più fame”. Lo stesso entusiasmo che vedo a Matera e in ogni piazza italiana dove la Lega è ancora giovane”. Sbam: una botta. O meglio un invito a tenere i piedi per terra. Che Giorgetti fa pesando le parole e il tono di voce. Che non si alza mai.

Giorgetti arriva all’incontro con i candidati leghisti e gli amministratori quando il direttivo provinciale del Carroccio si è appena concluso. Dice subito: «Non dico nulla sulle questioni nazionali». Ma poi, quando si parla di Lega, della Lega che ha superato i confini del Nord, «e che – dice – a Roma viene addirittura vista come il partito che garantisce la tenuta della Repubblica», discute anche di ciò che sta accadendo nella capitale. Partendo però da Varese e dalle elezioni comunali.

Giorgetti, lei sostiene che il centrodestra è morto. Però a livello locale lo schema politico sul quale la Lega ha puntato prevede l’alleanza con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ha cambiato idea?
«Assolutamente no. Il centrodestra è morto perché certe categorie politiche in Italia e nel mondo sono cambiate. Oggi il così detto populismo, che prende voti a destra e a sinistra, ha ribaltato i tradizionali schieramenti. A livello locale la realtà però è diversa».

In che senso?
«Nel senso che l’alleanza tradizionale si ripresenta sulla base della storia passata e sull’affiatamento tra i partiti del centrodestra, molto amministrativo e poco politico, che ancora esiste e non risente dell’influenza generale. Direi quindi che riproporre questo schema è normale. Anzi direi naturale».

La Lega alle prossime elezioni parte con tutti i favori dei pronostici e sembra pronta a fare la parte del leone. Sarà così?
«Lo spero. Ma qua il problema non è che dobbiamo affermarci dal nulla come in altre parti d’Italia. Qui dobbiamo confermarci. E paradossalmente la sfida è più difficile e anche doppia».

Perché doppia?
«Il tema è certamente vincere. Ma anche rinnovarci. Dobbiamo trovare energie e volti nuovi che sappiano preparare il cambio generazionale della classe dirigente leghista e al contempo garantire la continuità del discorso. Per questo dico che sarà più difficile. Anche se giochiamo “in casa” e partiamo con il favore del pronostico».

Cosa teme?
«Stiamo facendo un pieno di voti e va bene così. Ci mancherebbe. Però qui e nei posti in cui la Lega ha una storia di trent’anni vedo un partito “obeso”, con la pancia piena. Un po’ seduta. Ecco dobbiamo ritrovare l’entusiasmo di quando eravamo “più magri” e “più giovani”. Lo stesso che vedo nella parti d’Italia in cui invece siamo la novità».

Obiettivo per le prossime elezioni comunali?
«Tenere i Comuni dove governiamo e riuscire a portare a casa qualche sorpresa, come ad esempio Malnate. Una bella sfida. Dobbiamo tradurre a livello locale la stessa simpatia, diffusa a livello nazionale, per Matteo Salvini. Consapevoli del fatto che nei Comuni in lista non c’è il nostro leader. Quindi i candidati della Lega devono essere credibili e saper dare risposte alla gente».

D’accordo, ma nella politica di oggi il leader conta, non poco. Quanto?
«I leader contano e uno come Salvini fa la differenza.  Oggi la politica è cambiata. Contano anche i follower. Però “San Salvini” e i like non bastano. Per vincere e ottenere ciò che abbiamo sempre voluto, ovvero l’autonomia, serve anche le gente. Serve la spinta popolare»

E alle Europee?
«E’ una sfida bestiale».

Si riferisce agli scenari che si potrebbero aprire post elezioni?
«Calma. Chi pensa che il futuro del Governo sia legato all’esito delle elezioni Europee sbaglia. Il successo di questo Governo dipende solo dalla sua capacità di dare risposte ai problemi del Paese».

Quindi niente rimpasti o cambi in vista?
«Queste sono categorie della vecchia politica. Diciamo che se la Lega fa il pieno di voti significa che le proposte che facciamo all’interno del Governo avranno certamente più forza».

Torniamo alle risposte che Lega e Cinque stelle devono dare al Paese e che per certi versi ancora non ci sono? Arriveranno dopo le Europee?
«Diciamo che su alcuni temi si riesce subito ad avere una posizione comune, mentre su altri occorre pazienza e attendere che maturino le condizioni. Il decreto sblocca cantieri, ad esempio, non è quello che volevamo noi. Soltanto sei mesi fa però era impensabile che potesse essere approvato in questa formula. Quindi vuol dire che si va avanti. Non alla velocità che sarebbe utile, però si va avanti».

Sta dicendo che più del Contratto, tra Lega e Cinque stelle conta la contrattazione?
«La stella polare resta il Contratto. E quello che c’è scritto deve essere fatto. Come ad esempio l’autonomia, una cosa che i Cinque stelle non conoscevano e hanno iniziato a studiare. Il resto invece, ovvero ciò che non è contemplato, può essere discusso. E perfino rifiutato».

Insomma quello giallo verde è l’unico Governo possibile in questo momento e nel futuro immediato?
«Con questo Parlamento direi di sì. E’ una questione di matematica politica».

E qualora i numeri della Lega dovessero cambiare?
«Lo vedremo tra quattro anni. Oggi la fotografia è questa».

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