Giorgetti: via dalla Lega? Impossibile, ma il malcontento verso Salvini cresce

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GIancarlo Giorgetti

VARESE – Qualche tempo fa, durante un incontro pubblico in quel di Samarate, Giancarlo Giorgetti, il ministro laghee della Lega, ebbe a dire: “Spesso leggo mie dichiarazioni sui giornali senza che le abbia mai fatte”. Rischi della popolarità e del potere acquisito. E dell’impudenza degli scriba. Premessa doverosa prima di riferire quanto scrive oggi, venerdì 30 luglio, Il Foglio di Claudio Cerasa e che, cioè, Giorgetti sarebbe pronto ad abbandonare la politica. E la Lega di Matteo Salvini. “Non mi riconosco più nel progetto” è il virgolettato bomba, che confermerebbe il disagio del commercialista di Cazzago Brabbia, considerato il regista occulto di alcune e decisive dinamiche del Carroccio, nell’attuale scenario politico dominato dallo stesso Salvini e dai suoi pasdaran.

Insofferenza cresciuta nel tempo, cominciando da quando, giusto un paio di anni fa, il Capitano diede il benservito al primo governo Conte; scelta maturata – si diceva già allora – senza alcun coinvolgimento dei vertici del partito. Insomma, un colpo di testa ferragostano che, di fatto, emarginò il centrodestra o, comunque, lo buttò fuori dalla stanze del potere mentre il protagonista del golpe si faceva fotografare col bicchiere di mojito al Papeete di Milano Marittima, ricordate? Fino all’era di Mario Draghi e al pressing che Giorgetti dovette fare per convincere Salvini che, in quella particolare circostanza, la Lega non avrebbe dovuto né potuto schierarsi all’opposizione. Fino ai giorni nostri, con le proteste di marca leghista per il green pass e l’insieme di misure governative che in qualche modo impongono un serrato e serio controllo della situazione sanitaria a causa del Covid. Fino alla fatica di comporre il quadro partitico attorno alla riforma della Giustizia, un accordo trovato in extremis sempre, si racconta, con la faticosa mediazione di Giorgetti.

In questo contesto comincia proprio oggi a Cervia la festa della Lega. Il Foglio svela che lo staff di Salvini avrebbe sudato sette camicie per convincere il ministro dello Sviluppo Economico a fare un salto in Riviera. Una presenza “mordi e fuggi”, a quanto pare, giusto per segnalare un’unità interna che, stando alle indiscrezioni, è soltanto di facciata, funzionale a confondere le acque.

Cercare conferme dal diretto interessato è un’impresa inutile, refrattario com’è ai giornalisti. Si sa che si sarebbe confidato con i parlamentari varesini Dario Galli e Matteo Bianchi, uomini della sua scuderia, di quella Lega di governo, moderata, che guarda all’Europa e al Ppe. Niente a che vedere col sovranismo o le intese con Orban e Marine Le Pen. Venerdì scorso a Ternate, davanti a decine di militanti, Giorgetti ha ribadito la sua adesione alle politiche di Palazzo Chigi, smentendo di fatto l’ala di lotta del Carroccio, da Salvini in giù, fino a Borghi o a Bagnai, scesi in piazza contro il green pass e contrari alle posizioni dei governatori regionali leghisti, primo fra tutti Luca Zaia.

Per dirla in un altro modo, il malcontento sarebbe diffuso. “Alle viste ci sono le amministrative, non possiamo presentarci divisi agli elettori” sottolinea qualcuno, manifestando la latente preoccupazione. Eppure, i sondaggi rimangono soddisfacenti, il Carroccio “tiene”. Il punto è capire se terrà l’uomo del lago, fin dall’inizio anche uomo ombra di tutti i capi leghisti, Bossi e Maroni. Ora coscienza critica di un Matteo Salvini che vorrebbe fare la sua rivoluzione, ma forse senza considerare tutte le conseguenze. E il contesto. E l’Europa. E Giorgetti. Che minaccia di abbandonare il campo, ma non è la prima volta. Come un vero laghee invece pronto a calare le reti. Non per pescare lavarelli e persici, ma voti. Infatti, le urne si apriranno anche a Varese. Lui, soprattutto, ha voluto Matteo Bianchi candidato sindaco. Gettare la spugna proprio adesso, significherebbe lasciare soli Varese e Bianchi. Possibile? Ma dai.

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