La maxi rissa di Gallarate, siamo tutti coinvolti

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Chiedo subito scusa se scrivo in prima persona: non è mia abitudine. Ma la maxi rissa tra ragazzini, l’8 gennaio, a Gallarate, mi induce a raccontare un episodio personale, uno dei tanti che potrei ricordare, per commentare indirettamente quanto accaduto nelle vie centrali di questa città. Ebbene, avevo 15 anni. Partecipai all’occupazione della scuola che frequentavo. Non capivo bene la portata di quel gesto: epoca post-sessantottina, piena di ideali, giusti o sbagliati che fossero, più sbagliati che giusti: sulla sacca per i libri avevo scritto a lettere cubitali il nome di Jan Palach, il giovane che si diede fuoco in una piazza di Praga per protestare contro i carri armati sovietici.

Pensavo che in qualche modo potevo contribuire a cambiare in meglio la società. Illusione di un ragazzotto di provincia, non c’è dubbio. A disilludermi dalle mie idee rivoluzionarie (si fa per dire), irruppe a scuola mio padre, che mi trascinò a casa. Forse sbagliava anche lui, può essere. Forse sbagliavo anch’io, ma tutti e due agivamo con obiettivi, contenuti e valori,  seppure divergenti. Mio papà, dopo quell’episodio, mi “occupò” in casa per alcune settimane.

Venerdì, i ragazzini che hanno invaso le strade di Gallarate erano armati di mazze, catene e altri oggetti contundenti. Ma a quanto pare il loro agire era sostenuto dal vuoto. E da genitori, senza generalizzare, probabilmente assenti. Volevano fare a botte per fare a botte, violenza per la violenza, senza un motivo. Colpa del degrado dei costumi e, quindi, della società, sostiene qualcuno. I commenti su Facebook provano addirittura a giustificare, a comprendere, finanche ad assolvere. Sociologici, educatori e psicologici dell’età evolutiva avranno modo di spiegarci meglio i perché e per come. Qualcuno incolpa la scuola, altri la pandemia che cambia i presupposti sociali (il virus diventa l’alibi di tutto). Altri ancora buttano la palla nel complesso campo dei social, dentro il quale i giovani vincono facile e sparigliano. Non sono capace di dare una risposta, mi mancano gli strumenti. Mi riecheggiano le strofe di una canzone di Fabrizio De Andrè dedicata al maggio sessantottino: anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.

Di fronte a un simile, inquietante episodio come a Gallarate ripenso a mio padre. E al suo calcio ben assestato dove non batte il sole dopo le mie rimostranze, obbligandomi nel contempo a riflettere. Chissà, la spiegazione del fenomeno potrebbe essere anche nella mancanza di punti fermi, di autorevolezza, di esempi veri. Appunto, siamo tutti coinvolti.

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